Sono sempre stata fermamente convinta che le fiabe non siano solo mondi letterari da raccontare ai bambini, ma soprattutto quelle più antiche e sì, anche più famose, possano racchiudere profondi insegnamenti anche per gli adulti. Del resto se non ci soffermiamo sulle storie edulcorate dalla Disney, si possono scorgere elementi del macabro e del grottesco, e finali ben così distanti da quel 'felici e contenti' tanto declamato dall'azienda americana. Le fiabe di Hans Christian Andersen, ad esempio, racchiudono spesso una profonda malinconia, oltre a elementi legati alla fede ma anche al folklore. Sono racconti che bene o male tutti noi conosciamo, ma che trovo sempre bello poter rileggerle a distanza di anni, per scorgere magari delle sfumature nuove o diverse.
A inizio anno ho deciso di prendere da una delle nostre librerie uno dei volumi illustrati dai MinaLima e ho letto una fiaba ogni giorno, tornando forse un po' bambina, riscoprendo quelle più note e addentrandomi anche in storie meno conosciute.
Le nuove edizioni illustrate da MinaLima e pubblicate in Italia dall'Ippocampo, mi hanno sempre attratta con forza. Hanno esercitato su di me un magico richiamo. Insieme al mio compagno siamo riusciti a collezionarle tutte fino a ora. Dopo il meraviglioso Il Giardino Segreto di Frances Hodgson Burnett, ho deciso di buttarmi in queste settimane “natalizie” tra le pagine de La Bella e la Bestia, nella versione di Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve.
Sono ovviamente partita senza farmi troppe aspettative, consapevole di non ritrovare tra queste pagine la versione Disney che amo molto. E alla fine ho trovato una fiaba diversa sì, ma ugualmente interessante. Non eccezionale, ma godibile. Sicuramente molto più magica e più legata non solo alle antiche fiabe, ma anche al folclore e a quel Piccolo Popolo che tanto amo.