Qualche anno fa ho recuperato il grande classico moderno di William Golding: Il signore delle mosche. Quando ho visto che era stato pubblicato anche il primo adattamento graphic novel, non ho saputo resistere. Devo ringraziare Mondadori Oscar vault per avermi concesso di riceverne una copia.
Romanzo fantastico, considerato da molti una distopia (aspetto che ho creduto anche io, lo ammetto) - anche se forse è più appropriato parlare di utopia negativa -, fa riflettere su quella che è la visione forse pessimistica dell'autore sull'essere umano, ma anche su molti aspetti della società, anche attuale. Visione che ho anche io, del resto.
Aimée De Jongh, animatrice, insegnante e illustratrice, ne ha elaborato un ritratto piuttosto fedele, che a me ha colpito per lo stile, l'attenzione per ogni dettaglio, e il profondo rispetto per il testo di Golding, di cui riporta le frasi del testo originale.
“Forse una bestia c'è. Forse, siamo soltanto noi.”
Quando un aereo precipita in mare, gli unici superstiti sono dei bambini/ragazzini. Non ci sono adulti, non ci sono regole, c'è solo un'isola disabitata in cui cercare di sopravvivere in attesa di essere trovati da qualche nave di passaggio. Sin da subito si delineano alcuni di questi personaggi: da un lato Ralph, Simon e Piggy, simboli di razionalità, rispetto delle regole, verità, innocenza e saggezza; dall'altro lato Jack e i ragazzi del coro, che pian piano mostrano tutta l'arroganza di cui sono fatti, sprofondando sempre più in una forma di inciviltà e sete di sangue, fino ad arrivare a una violenza indicibile.
Ralph e Piggy trovano una conchiglia che diventa uno strumento prezioso: chi la terrà tra le mani, avrà il diritto di parlare, di esporre il suo pensiero, le sue paure, i suoi consigli. Uno strumento di democrazia, un modo per cercare di imporre delle regole e trovare una via per provare a vivere in maniera civile.
Ralph, inizialmente, viene votato dalla maggioranza come capo. È lui a cercare di suddividere i vari compiti tra i ragazzi e i bambini più piccini. Jack e i suoi compagni, ad esempio, si occuperanno della caccia e di mantenere viva la fiamma di un fuoco, nel tentativo di segnalare la loro presenza sull'isola; Ralph e Simon, soprattutto, tenteranno di creare dei validi rifugi, per proteggere soprattutto i più piccini che, di notte, sono colti da incubi e paure.
In quell'isola deserta, rigogliosa e ricca, s'insinua pian piano un'ombra: quella della Bestia, che tutti sembrano vedere. Un essere terribile che striscia sulla terra, o che viene dal mare, e che spaventa tutti o quasi. Perché c'è anche chi non vuole crederci, e analizza tutto in maniera più razionale, cercando la verità.
Una creatura che pian piano verrà utilizzata anche come un valido esempio di come utilizzare la paura per poter governare.
Perché se Ralph, infatti, tenterà di rimanere razionale e spingerà a dare sempre più attenzione all'importanza del fuoco acceso; Jack sprofonderà sempre di più in quell'ossessione per il comando, la caccia al maiale, nel richiamo primordiale del sangue. In quella faccia macchiata, come per andare in guerra, il giovane e i suoi seguaci troveranno una sorta di maschera dietro la quale nascondersi per compiere i loro spregevoli atti, liberi dalla vergogna, e dalla consapevolezza di sé.
La maschera fu una cosa a se stante, dietro a cui Jack si nascondeva libero dalla vergogna, e dalla consapevolezza di sé.
A nulla varranno le parole di personaggi ben più saggi come Simon e Piggy. Il male che sembra pervadere l'isola, ma in verità che corrode il cuore di quei piccoli uomini, li spingerà troppo oltre. A forme di inciviltà, di barbarie, di violenza, che forse non ci si aspetterebbe da bambini di quell'età. Esseri selvaggi, che seguono mostruosi rituali, che hanno il sapore del sangue, della morte.
Come dicevo nelle riflessioni che avevo scritto sul romanzo di Golding e che trovate in questo articolo, il testo richiede una buona dose di attenzione per cercare di assimilare i vari significati ed allegorie presenti. C'è lo scontro tra diverse forme di potere (democrazia e dittatura), ma anche tra bene e male, tra civiltà e regressione a uno stato umano primitivo, selvaggio.
Se in un romanzo noi possiamo solo immaginare quanto viene descritto, ecco che attraverso un graphic novel possiamo vedere, anche se tramite il punto di vista e l'ispirazione di un'altra persona. A mio avviso, come dicevo all'inizio di questo articolo, Aimée de Jongh ha fatto un ottimo lavoro, nel suo tentativo di aggiungere significato attraverso la composizione delle pagine, il colore e l'atmosfera. È riuscita a rendere un sentito e rispettoso omaggio al testo, arricchendolo di pura bellezza nella sua parte grafica.
Bellissima è la resa del contrasto tra questa natura rigogliosa, verde e quasi simile a un paradiso, tratteggiata in ogni minimo particolare - ti sembra proprio di sprofondare in quell'isola, tra animali, fili d'erba, scorgendo quella luce che penetra tra gli alberi riflettendosi sui visi, sui corpi semi-nudi dei vari personaggi -, e la violenza dei bambini, le immagini della morte, del sangue, della Bestia, del signore delle mosche, tratteggiati invece con tonalità scure, rosso, nero, viola...
Il tratto della sua matita è dolce e delicato nel rimarcare l'infanzia. Quello che mi ha colpito poi è come cambiano i bambini: inizialmente sembrano davvero tutti molto piccini, delicati; dei piccoli esseri da proteggere, che mangiano, giocano, nuotano e ridono tutti insieme. Poi, man a mano sembrano crescere di colpo. I tratti si fanno più duri, i corpi più sporchi, i capelli più folti... scivolano, lentamente, da un forma civile ed educata, in esseri primitivi che non si curano più, ma basano l'esistenza solo sulla ricerca del cibo, su una qualche forma di sopravvivenza e violenza. Ma l'aspetto particolare sta nel finale, dove avverti quasi la sensazione che tutti siano tornati più piccini. Bambini in lacrime che piangono la fine dell'innocenza, l'oscurità del cuore dell'uomo...
“Cos'è meglio: avere delle leggi e andare d'accordo, o andare a caccia e ammazzare? Cos'è meglio, la legge e la salvezza, o la caccia e la bestialità?”
Rileggere questo testo, anche se in forma grafica e quindi sicuramente ridotta - pur essendo un fumetto bello corposo suddiviso negli stessi 12 capitoli del romanzo -, mi ha portata di nuovo a riflettere su quanto il pensiero di Golding sia ancora piuttosto attuale. Osservo il mondo e mi accorgo che l'essere umano, privo di regole, leggi e imposizioni, continua liberamente a far del male, mosso da una crudeltà difficile da descrivere, e che non si ferma neanche davanti all'innocenza dei neonati. Il cuore umano sa essere davvero mostruoso, e compiere il male, ridendo anche davanti ad atrocità indicibili. Quello che può sembrare una semplice storia di bambini inquietanti in verità è il riflesso di ciò che può accadere quando la violenza dell'uomo è lasciata libera di estendersi senza freni. E a me ha lasciato di nuovo un gran peso nel cuore.
Se il classico di William Golding vi spaventa, vi consiglio di iniziare da questo bellissimo graphic novel e poi proseguire con il romanzo. Non ve ne pentirete.
Vi segnalo che su Amazon Prime potete trovare anche l'omonimo film del 1963, che riflette abbastanza la natura del libro. Io ovviamente mi sono affezionata, anche in questo caso, al saggio Piggy - qui chiamato Il bombolo - e al tenero Simon. Chi conosce la storia, sa.
Purtroppo però mancano alcune parti e ci sono piccole differenze, che nel libro sono sicuramente, a mio avviso, rese meglio, in modo più incisivo. Come la testa di maiale che “parla” a Simon, una delle parti più importanti e significative del libro.