Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina, di Ilan Pappé

22 ott 2024

Libri

Sono sempre dell'idea che per poter avere un pensiero critico su ciò che accade nel mondo, bisogna informarsi. Farlo sui canali giusti, lontani dalla propaganda di regime, ma anche attraverso la lettura. Leggere non vuole dire solo evadere con la mente in altri mondi, ma anche assumere una consapevolezza in più, aprire gli occhi, cercare di capire fino in fondo un dato tema, prima di dar voce a pensieri sbagliati, o seguire slogan che i media occidentali scelgono di imporre.

Per comprendere meglio quel che sta accadendo in Palestina, un validissimo autore e storico da ascoltare è Ilan Pappé. L'autore israeliano e anti-sionista ha scritto numerosi libri sul tema, cercando di dare una chiara linea di quel che è accaduto in quella terra risalendo alla fine dell'800, nel tentativo così di contestualizzare anche quel che è avvenuto il 7 ottobre dello scorso anno. 
Io ho aperto gli occhi grazie a giornalisti palestinesi come Motaz e Bisan, giovanissimi ragazzi che hanno mostrato al mondo sin dall'inizio tutto ciò che sta realmente accadendo nella Striscia di Gaza, e anche oggi purtroppo continuano a farlo; ma anche e soprattutto proprio grazie a un libro di Ilan Pappé: 10 miti su Israele, pubblicato da Tamu Edizioni (trovate qui l'ebook gratuito).

Tuttavia oggi voglio parlarvi dell'ultimo suo lavoro arrivato in Italia grazie a Fazi Editore (che nel suo catalogo ha diversi altri titoli dell'autore e non solo. Vi consiglio di dare un'occhiata) e che va, a mio avviso, ad aggiornare un po' quello che aveva cercato già di mostrare nel testo che ho citato. In Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina, Pappé cerca di spiegare in modo chiaro e semplice come siamo arrivati a quel 'famoso' 7 ottobre, tracciando un percorso illuminante ed esaustivo delle varie fasi storiche. Arrivando anche a esprimere le sue considerazioni sul possibile futuro dello Stato di Israele e della Palestina. Ad esempio, sottolinea quanto l'idea dei due Stati non sia fattibile;  e quanto sia più opportuno uno Stato dove tutti, palestinesi o israeliani, godano di pari diritti e abbiano libertà di movimento in tutta la Palestina storica, e aggiunge che bisogna modificare il discorso attorno a Israele e Palestina, non parlando più di pace, ma di decolonizzazione. 

© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice


Non è iniziato tutto il 7 ottobre.

Questo è un concetto che andrebbe rimarcato con forza. 
Tutto ha avuto inizio, infatti, nel 1882 quando la Palestina era ancora sotto il dominio Ottomano. Un gruppo di giovani ebrei arrivò in questa terra, acquistando dei terreni incolti dove non viveva nessuno, non sapendo nulla di agricoltura. Furono i contadini palestinesi a insegnare loro come coltivare e arare la terra per renderla produttiva. Intanto, però, in Europa si andava delineando già il progetto dello Stato di Israele in Palestina, iniziando a fare pressioni al governo inglese e quello americano.

In verità, già nella prima propaganda sionista i palestinesi venivano dipinti, nel migliore dei casi, come stranieri nella loro stessa terra e, nel peggiore, come usurpatori di terre che appartenevano di diritto al popolo ebraico fin dai tempi dell'Antico Testamento.

Il 2 novembre 1917 il governo britannico firmò la Dichiarazione Balfour, promettendo di fare della Palestina una patria nazionale per il popolo ebraico e proteggendo al tempo stesso i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, vale a dire la maggioranza indigena. Entro la fine del 1918 la Gran Bretagna aveva completato l'occupazione della Palestina storica (l'attuale Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza).
Gli inglesi, però, trattarono in modo diverso palestinesi e israeliani: mentre questi ultimi potevano essere autonomi in vari settori, dalla salute, all'istruzione, alla creazione di un esercito, i palestinesi venivano trattati come dei sudditi coloniali, imponendo loro il proprio sistema educativo, e impedendo loro anche di sviluppare una vera classe locale di governo.

È dalla metà degli anni 20 del Novecento che ha veramente inizio la pulizia etnica della Palestina. I coloni sionisti, infatti, iniziarono a sfrattare anche con la forza gli abitanti dei villaggi, acquistando anche quelle terre dove viveva il popolo nativo. 

Quello che era iniziato come un movimento per salvare gli ebrei e modernizzare l'ebraismo trasformandolo in un'identità nazionale tra le altre era diventato un progetto coloniale insediativo, che si fondava sulla subordinazione di un altro popolo.

Lo scopo? Sostituire completamente la società nativa con la propria. E tutto ciò continua ancora oggi. I coloni vanno a cancellare la storia delle società native, datandola così a partire dal loro primo arrivo. Le vecchie usanze svaniscono e il cibo autoctono viene assimilato a quello dei coloni. In parole povere, la terra non è vuota. Sono i coloni che la svuotano.

Tutto ciò è anche possibile perché ancora oggi molti israeliani credono nel mito secondo cui la Palestina era un deserto, che loro - i sionisti - hanno fatto fiorire. E questo è stato ripreso anche dalle parole di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, nel suo discorso di congratulazioni per il settantacinquesimo anniversario di Israele.

Ma questa è solo una falsità.

Da qui in poi la violenza e le tensioni tra israeliani e palestinesi si fanno sempre più intense. E tutto ciò in un certo senso peggiora dopo la seconda guerra mondiale e l'Olocausto. Nasce in Europa, infatti, un tentativo di lavarsi la coscienza per ciò che è accaduto a oltre sei milioni di ebrei. E questo porta le potenze europee a essere ancora meno solidali nei confronti dei palestinesi, cercando di forzarli ad accettare di cedere metà della loro terra ai coloni. Una piccola ingiustizia per correggerne una più grande.

Il 1948 segna il ritiro dell'occupazione britannica, e uno degli avvenimenti più tragici della storia Palestinese: la Nakba, la catastrofe, un tentativo non solo di rubare terre, ma anche di rendere impossibile la ricostruzione di una nazione palestinese. Lo scopo dello stato sionista ormai è chiaro: allontanare quanti più palestinesi possibile dalla Palestina, così da creare uno Stato a maggioranza ebraica (il piano D).

Alla fine del 1948, metà della popolazione araba della Palestina era stata espulsa, più di cinquecento villaggi erano stati distrutti e la maggior parte dei paesi e delle città era stata demolita. Sulle rovine, Israele costruì insediamenti ebraici e piantò alberi di pino importati dall'Europa.

I Palestinesi furono espulsi verso la Cisgiordania e la Transgiordania, in Siria e in Libano, ma a sud l'Egitto rifiutò di aprire i suoi confini. Fu così che fu creata la Striscia di Gaza: il campo profughi più grande del mondo. Lo è ancora oggi.

La pulizia etnica della Palestina continuò fino alla Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, quando Israele riuscì ad avere il controllo su tutta la Palestina storica. 

Pappé continua a narrare la storia della Palestina mettendo in luce vari aspetti: dalla creazione di lobby sioniste in America, capaci di fare pressioni - ancora oggi - sui presidenti degli Stati Uniti, all'istituzione anche di un regime di apartheid, con una serie di leggi disumane nei confronti dei Palestinesi, non più liberi di muoversi nella loro terra, sempre sottoposti a controlli o a possibili reclusioni anche per nulla. Cita la prima e la seconda Intifada, movimenti di protesta palestinesi, inizialmente non violenti, ai quali gli israeliani reagirono con la forza. 
E ancora gli accordi - falliti - di Oslo del 1992, la nascita dei gruppi politici islamisti, tra cui Hamas, di cui ne delinea le origini, la recinzione della Striscia di Gaza, rendendola sempre di più una prigione a cielo aperto, fino ad arrivare al 7 ottobre 2023. L'autore israeliano analizza anche le varie crepe interne allo Stato di Israele, che è sempre più sull'orlo di una guerra civile che potrebbe rappresentare, in un probabile futuro, la sua fine. 

L'attacco del 7 ottobre viene utilizzato come pretesto per attuare politiche genocide nella Striscia di Gaza. È anche un pretesto per gli Stati Uniti per cercare di riaffermare la propria presenza in Medio Oriente. Ed è un pretesto per alcuni paesi europei per limitare le libertà democratiche in nome di una nuova “guerra al terrorismo”.

Come arrivare a una risoluzione di questo conflitto (che ormai si è trasformato in un vero e proprio genocidio del popolo palestinese)? Pappé invita a ricordare il contesto storico. Partendo almeno dal 1948, e ricordando che a Gaza vivono soprattutto rifugiati in seguito alla pulizia etnica di quell'anno. Ricordando ancora che dal 1967 gli abitanti di Gaza e della Cisgiordania sono sotto occupazione (detenzioni senza processo, demolizioni di case, uccisioni, esproprio di terre, abusi da parte dell'esercito: è questa la vita quotidiana dei palestinesi in quelle zone). Tutto ciò ha portato alle rivolte, e all'attacco di Hamas: combattenti in gran parte molto giovani che hanno imparato il linguaggio della violenza dalle bombe sganciate da Israele su di loro. Non una giustificazione, questa, ma è comunque importante comprendere come si è arrivati a un tale atto.

Ho cercato in questo mio articolo di riportare una sorta di riassunto di quello che potrete trovare tra queste pagine, lasciando ampio spazio alle parole di Pappé. Ma il mio invito, ancora una volta, è quello di prendere in mano questi suoi saggi e cercare di comprendere davvero quale sia la vera storia della Palestina e come si è arrivati al 7 ottobre. Fissare nella testa come non sia iniziato tutto quel giorno, e anche quanto sia forte la responsabilità - anche oggi - dell'appoggio europeo e statunitense, che sono spesso sotto il controllo delle grandi lobby filosioniste. E come sia poco logico parlare di pace, perché siamo di fronte a un colonialismo insediativo che sta portando sempre più uno stato - Israele - a distruggere un altro popolo per ottenere il suo scopo: la creazione del Grande Israele.

Come dice Pappé nelle conclusioni: è ora di riconoscere il movimento nazionale palestinese come un movimento anticolonialista.

...senza il pieno riconoscimento internazionale del diritto dei palestinesi a portare avanti la lotta di liberazione, la carneficina in Israele e Palestina continuerà.


Viviamo sempre più in un mondo in cui se provi a raccontare la verità, vieni tacciato di antisemitismo. In questo ultimo anno ho provato varie sensazioni: dall'incredulità, alla rabbia, alla delusione - soprattutto verso alcuni soggetti che stimavo -, al dolore, e a un forte senso di impotenza. Cercano di fermare la verità, di mandare avanti una realtà distorta, mossa da una becera propaganda che si nasconde dietro l'Olocausto, ma se i potenti continuano a sostenere quello stato illegittimo, vedo sempre più persone che stanno aprendo gli occhi, e dimostrano ancora umanità. Come ho scritto anche in altre occasioni, io mi vergogno di avere aperto gli occhi solo nell'ultimo anno, ma allo stesso tempo sono felice di averlo fatto. Il popolo palestinese merita di vivere in pace nella sua terra. Quanto sarebbe bello il ritorno a una Palestina dove ebrei, cristiani e musulmani possano vivere con gli stessi diritti e libertà? Ma per far ciò non si può parlare semplicemente di pace o ancora del modello a due stati. Questo non è fattibile.

Come ha detto anche in un'intervista che ho ascoltato di recente, è importante sottolineare che essere antisionisti significa essere contro il razzismo, il colonialismo e l'apartheid. 
Essere antisionisti non significa essere antisemiti. 

Concludo lasciandovi con altre parole di Ilan Pappé.

Non ha senso parlare di pace, come se entrambe le parti fossero ugualmente colpevoli, quando il vero processo da fare è la decolonizzazione. La Palestina storica ha sperimentato il colonialismo insediativo per oltre un secolo, e a caro prezzo.


Se vuoi acquistare il libro, lo trovi anche qui.

IL LIBRO

Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina
Ilan Pappé
Casa editrice: Fazi Editore
Traduzione di: Valentina Nicolì
Pagine: 144
Prezzo: 15.00€ / E-book: 7.99€
Anno di pubblicazione: 2024
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