Negli ultimi mesi mi è capitato più volte di leggere di maternità, della relazione tra madri e figli, della possibilità per le donne di scegliere liberamente la propria vita, senza dover essere sottoposte a giudizi. È un tema che mi colpisce particolarmente, forse perché mi permette di riflettere anche su me stessa. Viviamo ancora in una società dove chi sceglie di non essere madre viene vista male, come se non fosse veramente una donna completa. E io, che figli non ne ho e che francamente non desidero avere, mi sento molto 'vittima' del giudizio altrui. Ma so di non essere sola. Apprezzo, quindi, particolarmente quei libri o graphic novel che affrontano l'aspetto oscuro - chiamiamolo così - della maternità. E questo ultimo lavoro di Giulia Ciarapica, pubblicato da Round Robin, fa riflettere molto su questo argomento.
Come se non fossimo stati è il primo graphic novel scritto dall'autrice marchigiana e illustrato da Michela Di Cecio, che ci trasporta ancora una volta nella sua Casette d'Ete, piccolo paese delle Marche, nel 1929. Una storia dark, una sorta di leggenda (o forse una storia vera?) che viene narrata di madre in figlia. Il racconto di Leila, la diversa, accusata da tutti di essere un'assassina, di aver ucciso il proprio bambino. Ma è davvero così?
Si chiese molte volte a cosa servisse il dolore, e la risposta non le arrivò mai chiara come avrebbe voluto.
Casette d'Ete, 9 maggio 1929.
Si dice che sia rimasta incinta di un ragazzo che, però, ha scelto di sposare un'altra molto più ricca di lei.
Si dice che, aiutata da sua madre, nella casa isolata nella campagna marchigiana, abbia ucciso il suo bambino, appena nato.
Se lo dicono tutti, deve essere per forza vero.
Eppure, Antonio non ci sta. Il giovane ragazzo è attratto da quella bellezza diafana, dal mistero che la circonda. Le si avvicina durante la festa del paese, parla e balla con lei. S'innamorano. La vorrebbe sposare, e ben presto la chiede in sposa, opponendosi così alle chiacchiere, alla diffamazione, alla crudeltà di chi non sa nulla e accusa senza prove, e anche al giudizio di sua madre, che non vuole che suo figlio sposi un'assassina.
Leila che vive isolata con sua madre, ricorda un po' le donne accusate di stregoneria. Lei è diversa. In lei risiede il male. Ma è veramente così? Cosa celano i suoi occhi? Cosa nascondono quei vuoti, quei momenti in cui sembra chiudersi in un luogo inaccessibile agli altri? Quali incubi la tormentano?
Attraverso la figura inusuale di Leila, Giulia Ciarapica ci permette di riflettere su cosa significa veramente essere madri e su quanto sia importante lasciare piena libertà alle donne, che devono scegliere senza giudizi cosa fare del loro corpo, della loro vita.
Molto spesso la maternità viene mostrata al mondo in un'ottica totalmente positiva: essere madri deve essere il sogno di ogni donna, i figli sono un dono, tutto è bellissimo, incantevole, stupendo. Se osi lamentarti, allora sei sicuramente una cattiva madre, un essere indegno. E se per caso figli non ne vuoi, allora la critica si fa ancora più spietata. Che donna sei senza figli?
Una madre è una madre, e per i figli darebbe la vita, a costo di sacrificare qualunque altra cosa.
Un sacrificio. E se non tutte fossero disposte a farlo?
Personalmente ho trovato molto interessante, anche se per alcuni potrà apparire molto forte come pensiero, la riflessione che Giulia ci porta attraverso le parole di Leila.
Leila non vuole figli, perché quelle creature che crescono nel tuo corpo, che lo trasformano, possono anche divorare la tua esistenza, i tuoi sogni, i tuoi progetti. E se finisci per non riuscire ad amare quell'essere sconosciuto che porti in grembo? E se non ti senti pronta per un passo così importante? Se non avverti dentro di te il desiderio di essere madre? Perché devi essere condannata come un mostro? Perché devi sentirti giudicata, quasi disprezzata per avere un pensiero diverso, per reclamare con forza la libertà di essere semplicemente te stessa e scegliere cosa fare della tua vita, del tuo corpo, del tuo amore?
Come dicevo, è un argomento che mi tocca molto nel profondo.
Un tempo sognavo di essere madre, ma covavo dentro di me sempre una sorta di paura di non esserne all'altezza. Negli anni, poi, questo desiderio si è affievolito. Ad oggi, non è un sogno che voglio realizzare. Eppure, mi sento costantemente giudicata per questo. C'è sempre chi è pronto a farti sentire colpevole, e non si accorge di ferirti con certe parole. Il mondo va avanti, ma la mentalità non cambia. Questa storia è ambientata nel 1929, ma certi pensieri sono rimasti tali anche nel 2024. Quando la gente smetterà di guardare male chi non ha figli? Quando si inizierà a provare un po' di rispetto, non puntando il dito verso quelle donne che non possono o non vogliono avere figli? Quando si imparerà a capire che ogni persona è diversa e ha il sacrosanto diritto di scegliere liberamente cosa fare della propria vita e del proprio corpo?
Come se non fossimo stati è una storia che affronta il tema della maternità, ma è anche un modo per mettere in luce la diffamazione che spesso è presente soprattutto nelle piccole comunità. Se tutti dicono una cosa, quella deve essere per forza vera. Ed è così facile condannare una persona, pur non avendo prove di quanto si vocifera.
Voi non lo sapete cosa significa esistere per qualcun altro, non ne avete proprio idea!
Alle parole di Giulia, si uniscono le splendide illustrazioni di Michela Di Cecio, che alterna colori più luminosi - nei momenti di vita - ad altri più oscuri quando si affrontano certi temi. Costante è la presenza di una macchia sul vestito di Leila: quella del vino cotto, che sembra quasi sangue e che, in un certo senso, rappresenta il legame tra vivi e morti. Molto interessanti sono anche le note finali, nelle quali Giulia spiega più nei dettagli la simbologia presente nei numeri, in alcuni oggetti (le noci, i piselli, il vino cotto...) ed espressioni che ha usato nel corso delle pagine, e che aiutano un po' a comprendere meglio i vari dettagli.
A me è piaciuto davvero molto. Ve lo consiglio.