I libri ti permettono di viaggiare anche quando non puoi farlo fisicamente. Torni nel passato, o magari in mondi magici, irreali, oppure puoi restare nella tua bella Italia. Tra le pagine del romanzo di cui voglio scrivere oggi, andiamo in Sicilia, una terra che ha sempre accolto nel corso dei secoli differenti culture, e dove le lingue hanno creato una particolare commistione. L’odore della zagara ci trasporta lì, tra il lavoro della terra, le difficoltà della vita, l’emigrazione a volte necessaria in altre desiderata verso la Merica, una terra vista come un sogno, ma che in realtà lascia addosso un senso di disillusione, e il triste avvento del Fascismo.
L’affare del Danso e altri cunti, di Raffaello Di Mauro, è un libro in cui la casa editrice 21lettere ha molto creduto, e che mi ha gentilmente invitato a leggere. Ha una struttura strana, perché mescola romanzo e racconti. I cunti, appunto. Racconti che vengono narrati intorno al tavolo di un bar, durante una partita a carte tra amici. Poche pagine che descrivono un evento, e che unite insieme, riescono a creare un romanzo corale, dispiegato con cura.
Era in Sicilia, nella sua terra. E la Merica sembrava galleggiare in un limbo di ricordi lontani.
Il testo inizia con un antefatto, una delle poche narrazioni reali, perché un omaggio al nonno dell’autore: Francesco “Ciccio” Grasso. Siamo a Piedimonte Etneo, un comune alle pendici dell’Etna, nel 1906. La famiglia Grasso è numerosa e dedita costantemente al lavoro della terra nel podere del Danso. E ‘lei’ a dare sostentamento, seguendo i cicli e le stagioni. Ma, un giorno, il figlio maggiore, Ignazio sente forte in lui il desiderio di allontanarsi da quel posto per raggiungere l’America. Quel mondo che esercita una forte attrazione per i Siciliani (o forse per tutti gli Italiani), una sorta di sogno da realizzare, per potersi allontanare dalla povertà e crearsi un futuro migliore.
Tuttavia, a causa di un infortunio proprio a pochi giorni dalla partenza, spetta a suo fratello Ciccio prendere il suo posto. Ma la cosiddetta ‘Merica si rivelerà essere molto differente per lui: ha solo 16 anni quando intraprende il viaggio, e una volta lì, viene spedito senza tante cerimonie a lavorare nella miniera di carbone di Monongah in West Virginia. Una terra lontana che può dare, ma anche togliere tanto.
Un’umanità vasta e disperata gli passa davanti ogni giorno, nella foschia della baia di Hudson. Anime di purgatorio, una schiera spaesata, una marea montante di corpi flagellati dal mare che si portano dietro un tanfo di sentina e vomito, persistente come profumo francese.
Ellis Island è il primo lembo di terra americana.
Tutti da qua passano.
Tutti.
Con i pidocchi o senza, non fa differenza.
Proprio dall’America, nel 1934, fa ritorno Rocco Sapienza. Chiuso in una cassa, fingendo la sua morte, a bordo del transatlantico Roma. Anche lui aveva visto in quella chimera un modo per allontanarsi da una condizione difficile e trovare una vita migliore. La povertà lo costringe ad abbandonare una terra che ama, e il podere del Danso, lascito di suo padre, per trovare fortuna altrove. Eppure, sarà proprio in America che dovrà affrontare una vita dura, lo sfruttamento – anche lui – nella miniera, ma anche violenza, che lo porta a commetterne altrettanta. Una vendetta a un dolore che gli è stato inflitto: l’assassinio a sangue freddo della sua amata Lisetta e dei loro figli. È un Paese che dà, come dicevo, ma che toglie anche. Sì, Rocco riesce a fare soldi, ma a che prezzo?
Dal suo ritorno inizia quindi una narrazione che ci porta proprio a Piedimonte Etneo, seguendo le vicissitudini di questo personaggio, ma anche di altri suoi compaesani, in una terra profondamente cambiata con l’avvento del Fascismo. A governare con violenza c’è il Podestà Aurelio Scornavacca che con i suoi camerati fascisti detta legge, ma che in verità sogna di compiere imprese grandiose accanto al suo adorato Duce, ed è anche dedito al vizio del gioco, che potrebbe portarlo a perdere tutto.
Attraverso una serie di cunti narrati attorno a un tavolo, tra vecchi amici, conosciamo anche altre figure. Come il buon maestro comunista Giovanni Spartà, che discute animatamente con il suo amico Fernando Zurzolo, perché quest’ultimo è convinto che il fascismo abbia salvato la Sicilia dalla mafia; o ancora il giovane Sindacalista Carmelo Spada, che istiga i braccianti a rivoltarsi contro i padroni, attraverso scioperi per farsi aumentare il misero salario. Ma c’è anche la fede, con i suoi tradizionali rituali, le Via Crucis e le messe siccagne, e un misterioso e strambo nuovo vice parroco Don Gregorio Sanza, con i suoi segreti e tormenti.
Rocco aveva abbassato il finestrino della macchina e si godeva l’odore della sua terra. Nel suo animo avvertiva sensazioni contrastanti. Pensava a Lisetta e ai suoi figli e provava vere fitte di dolore al petto.
L’odore della zagara lo riconduceva alla terra, al tempo scandito dalle stagioni, alle generose fioriture degli aranci, ai frutti succosi e colorati.
L’ultimo giorno prima della partenza per l’America Rocco Sapienza lo aveva passato sulla collina del Danso.
Abbracciato alla sua terra.
Da solo.
Sferzato da raffiche di vento cariche di grandine, sotto un cielo nero da fine del mondo.
Le sue lacrime erano state cancellate dalla pioggia, mentre il suo viso restava attaccato alla terra come nell’ultimo saluto a una madre morente.