Lettura di Dicembre 2022 per il mio progetto #aTeatroconShakespeare
Sì, lo so, sono di nuovo un super ritardo.
Non è proprio un periodo così semplice e, a volte, non si ha semplicemente voglia di mettersi al pc a scrivere qualcosa. Tuttavia, cerco di recuperare un po' il tempo perso.
Oggi, in particolare, voglio scrivere dell'opera che ho letto a dicembre per il mio progetto sul teatro di William Shakespeare: Il Racconto d'inverno. Continua così la mia scoperta degli ultimi lavori del Bardo, dei Drammi Romanzeschi, quelle “antiche favole” che padre e figlia si raccontavano nella loro prigione, per indagare sul mistero delle cose. Ovviamente, come ho già avuto modo di menzionare nelle precedenti opere (vedi Pericle e Cimbelino ), il riferimento è al Re Lear, e alla sua amata figlia Cordelia.
In effetti, tutti questi ultimi drammi sono sempre accomunati da un padre e una figlia, e una moglie apparentemente morta. Non manca la tempesta che rappresenta il punto di rottura, il momento più tragico, l'allontanamento tra i due spesso per un errore, un comportamento malsano. Per arrivare poi alla riconciliazione finale.
Fonti:
- Pandosto, The triumph of Time di Robert Greene: la fonte narrativa principale ripresa quasi fedelmente da Shakespeare, pur apportando delle differenze e aggiunte personali.
- The First, Second, Third Part of Conny-Catching di Robert Greene, come ispirazione per la figura di Autolico.
- Le Metamorfosi, di Ovidio nella versione di Arthur Golding: in riferimento al mito di Pigmalione come ispirazione per la 'statua che prende vita'.
Pensieri sull'Opera:
Mamilio: Un racconto triste è meglio per l'inverno:
ne conosco uno di spiriti e folletti.
ATTO II scena I
Alla corte di Sicilia, il Re Leonte è assillato da un'atroce gelosia nei confronti dell'amico Polissene, re di Boemia. Senza alcuna prova, né venendogli instillato il dubbio da alcun Iago di sorta, il sovrano crede che sua moglie Ermione lo abbia tradito e che il figlio che attende non sia il suo. Corroso da quel veleno, invita uno dei suoi nobili, Camillo, ad avvelenare Polissene, per poi instituire un tribunale contro sua moglie, allontanandola anche dal loro primo figlio Mamilio. Camillo si rifiuta di uccidere il re di Boemia e, dopo averlo avvertito, fugge con lui. Prima che l'Oracolo di Delfi dia il suo responso sulla condanna emessa, Ermione dà alla luce la sua bambina, ma poi, stremata dall'accusa e dalla scoperta della morte del figlioletto, muore. Mentre la piccola sarà portata via da un altro cortigiano, Antigono, lontano da corte, per abbandonarla lontano. Ma il responso pende a favore della Regina, che non ha mai commesso adulterio. E a Leonte non resta che vivere i suoi giorni con il rimorso per quanto commesso.
Attraverso la voce del Tempo, gli anni passano, e la scena si sposta in Boemia dove apprendiamo che la piccola Perdita - così si chiamerà la bambina abbandonata - è cresciuta grazie all'aiuto di un contadino e di un pastore che si prendono cura di lei. Una tempesta aveva, infatti, spinto sulle sponde di quella terra la nave del nobile Antigono che aveva il crudele compito di abbandonare la piccina, trovando poi la morte a causa di un orso. Perdita cresce e s'innamora, ricambiata, del figlio di Polissene, Florizel. Ma il loro amore è ostacolato proprio dal padre, che non vuole un matrimonio con una figura di così basso rango. I due fuggono, consigliati da Camillo, verso la Sicilia, dove le carte verranno svelate, e dal gelo dell'inverno si arriverà a una nuova primavera. Fatta anche di riconciliazioni e nuove piacevoli scoperte.
Leonte:
Non sono niente i bisbigli?
E il curvarsi guancia a guancia? Lo sfiorarsi
naso a naso? Il baciarsi
con l'intento delle labbra? Con un sospiro
arrestare la corsa della risata (segno
infallibile dell'onestà che si spezza)? Premere
piede su piede? Rintanarsi negli angoli?
Bramare che gli orologi siano più veloci?
Le ore minuti, mezzogiorno mezzanotte?
E tutti gli occhi accecati dalla cataratta
tranne i loro: soltanto i loro,
perché il male rimanga non visto? E questo
è niente? Ebbene, allora il mondo, e tutto
ciò che contiene è niente.
ATTO I scena II
Anche in questo caso, quindi, come dicevo c'è un rapporto tra un padre e una figlia, ma anche la presenza di una moglie che almeno all'apparenza è morta. C'è un errore, un gesto malsano di un uomo che è corroso da una gelosia immotivata; la perdita di una figlia, il ricongiungimento finale. Nella prima parte dell'opera sembra di assistere a una tragedia vera e propria, che raggiunge il punto massimo nella tempesta. Grazie all'uso del Tempo - che governa la trama e i personaggi -, Shakespeare trova un valido modo per far scorrere quindici anni, donandoci anche un cambio di tono. Dal IV atto, infatti, la tragedia lascia il posto alla Commedia Pastorale: al mondo chiuso e cupo della corte si contrappone la bellezza della natura e dei suoi fiori, le danze di pastori e satiri, i canti dell'avventuriero Autolico, i travestimenti per poter vivere un amore ostacolato. È un clima molto più gioioso, allegro, che contrasta con la parte iniziale, in cui il gelo dell'inverno era penetrato nel cuore di un Re, portandolo a una colpa che solo nel finale potrà essere espiata.
A me è particolarmente piaciuta anche la scena finale, dove la realtà viene svelata, e il lieto fine può arrivare a coinvolgere tutti i personaggi dell'opera. Una verità che verrà portata alla luce grazie anche a un tocco di magia, e che Shakespeare potrebbe aver attinto dal mito del Pigmalione.
È quindi un'opera che affronta il tema della gelosia, che può ricordare un po' Otello, ma con una differenza sostanziale: qui, Leonte prova una gelosia irrazionale, improvvisa e immotivata. Non c'è nessun Iago che instilla in lui il dubbio. C'è il tema della perdita, di quella figlia il cui nome è perfettamente allusivo, a un significato ben preciso. Una ragazza che, però, rappresenterà poi il modo per spingere il peccatore - Leonte - a redimersi, e a volgersi verso una nuova vita.
Il Tempo è fondamentale: sia perché appare come personaggio che annuncia lo stacco non solo temporale, ma anche di tono narrativo, ma anche perché solo il tempo può correggere gli errori, alleviare le ferite. Ma il tempo rivela anche la verità, il mistero delle cose.
C'è ancora il contrasto tra i 'vecchi' e le nuove generazioni: i primi che tentano di ostacolare vite e amori, e i secondi che, invece, lottano per quel sentimento e che riportano la primavera dopo il gelo dell'inverno. Perdita e Florizel possono forse essere paragonati a dei novelli Romeo e Giulietta, con anche qui una differenza: non saranno vittime sacrificabili delle azioni dei genitori, ma riusciranno a vivere il loro amore alla luce del sole, a contrastare l'odio o il disprezzo dei loro padri.
Non mancano ovviamente i personaggi comici, i clown, presenti nella seconda parte del dramma, sì da rendere il racconto più allegro, pastorale, divertente, fino al lieto fine.
Ancora una volta, e forse tornerò a ripetermi, ho adorato la descrizione che Shakespeare fa dei personaggi femminili: insieme a Ermione, alla sua fedeltà e amore sincero, e alla giovane Perdita, così simile a sua madre, c'è un personaggio che spicca particolarmente, Paulina.Paulina: È eretico chi innalza il rogo,
non colei che vi brucia dentro.
Moglie di Antigono, e dama di Ermione, non avrà paura di opporsi al Re e al suo comportamento assurdo. Rappresenterà ben presto la voce della coscienza di Leonte: con le sue parole ferme, forse dure, lo metterà davanti al suo errore, alla sua colpevolezza, agli effetti tragici delle sue azioni, delle sue accuse. Paulina solleva la sua voce contro il sovrano, senza paura. E sarà la chiave fondamentale per l'emergere della verità, sul finale. È una figura che resta incredibilmente vivida nei pensieri, e che risalta più degli altri. Io l'ho davvero molto apprezzata!
Come scrivevo nelle Fonti, l'opera è ripresa da Pandosto, the triumph of time, di Robert Greene, ma Shakespeare ne modifica alcuni aspetti: il nome dei personaggi, inverte i due luoghi dell'azione, e introduce anche nuovi personaggi: come Paulina, Antigono, la presenza dell'orso, il contadino (il clown dell'opera), e Autolico, il furfante canterino. Del desiderio incestuoso del re verso la figlia, Shakespeare ne offre solo un piccolissimo accenno, subito scacciato via dalle parole di Paulina, che come sempre sembra la voce della coscienza del re Leonte, e introduce il finale con la misteriosa statua della regina morta.
Concludo dicendo che a me quest'opera è piaciuta molto, non vola tra le mie preferite in assoluto, ma mi ha molto colpito per temi e personaggi, e per quel cambio di rotta dall'aspetto più propriamente tragico a una versione più comica, a lieto fine. E poi, personalmente adoro quando viene inserito un pizzico di magia. Sono rimasta molto incantata dalla scena della statua, di cui non voglio svelare troppo, perché merita di essere letta senza parlarne eccessivamente.
Una piccola curiosità: Robert Greene, dai cui testi Shakespeare ha preso ispirazione per quest'opera, nel 1592 lanciò un'invettiva contro il giovane attore-autore William Shakespeare, chiamandolo Shake-Scene (scuoti-scena) e accusandolo di 'farsi bello delle penne altrui'. “C’è un nuovo venuto, cornacchia presuntuosa rimpannucciata con le nostre penne, con un cuore di tigre nella pelle di un attore, che si pretende di essere capace di snocciolare un verso sciolto come il più bravo tra di voi; e per di più, essendo un Gianni Tuttofare, s’è messo in testa d’essere l’unico “Scuotiscena” del nostro paese”.
Ho letto l'opera nella traduzione di Agostino Lombardo contenuta nel volume “Drammi Romanzeschi” curata da Giorgio Melchiori e pubblicata nei Meridiani Mondadori.
Ho tratto alcune informazioni dal seguente saggio:
- Shakespeare. Genesi e Struttura delle opere, di Giorgio Melchiori (Edizioni Laterza)
- dalla Prefazione di Demetrio Vittorini a Il Racconto d'inverno, contenuto in Shakespeare. Opere Complete, edizione Garzanti.
♥♥♥♥
il 07/02/2023 07:42