Scrivere di Primo Levi per me non è mai facile. Ogni volta che leggo uno dei suoi lavori, mi sento molto piccola, ma allo stesso tempo affascinata dalla sua persona e soprattutto dai suoi pensieri.
L'ho scoperto tardi, ma ora capisco perché in tanti ne hanno sempre parlato così bene. Per ora mi sono approcciata solo a quei testi che fanno riferimento alla sua esperienza nel campo di concentramento di Monowitz-Auschwitz. Volumi che, a mio modesto avviso, vanno assolutamente recuperati. Ho letto molto sulla Shoah, approfondendo inizialmente romanzi, e poi soprattutto le voci di chi ha vissuto sulla propria pelle quel terribile odio, quella crudeltà assurda, per la sola colpa di essere considerati una razza inferiore. E ora posso assolutamente dire che se vogliamo davvero conoscere e comprendere quello che è stato, le testimonianze sono il modo più importante per farlo. No, non condanno i romanzi, perché ne ho letti di davvero validi, ma vi invito e anzi, mi rivolgo anche a me stessa, a valutare davvero i testi da affrontare con più cura. Se con Sami Modiano, le sorelline Bucci, Elie Wiesel, e anche Liliana Segre mi sono sentita molto coinvolta emotivamente, secondo me Primo Levi va letto anche e soprattutto per riflettere. Perché i suoi libri non sono un mero ricordo di quanto subito, ma anche un vero e proprio invito alla riflessione sull'uomo, sulle sue azioni, su quello che sono capaci di fare l'odio, l'indifferenza, la natura umana sottoposta a certe sfide, umiliazioni, ma anche leggi assurde. E secondo me è proprio questo il punto di forza che mi fa gridare a gran voce: LEGGETE PRIMO LEVI.
È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.
Credo che il percorso di lettura che ho fatto sia quello più opportuno. Ovviamente ognuno è libero di iniziare dal testo che vuole, ma vi lascio solo il mio modesto consiglio.
A mio avviso è meglio percorrere la strada cronologica: iniziare da Se questo è un uomo, il primo 'sfogo', il primo forte desiderio di vomitare parole, di raccontare quel che accaduto, di provare a ragionarci su. Proseguire poi con La Tregua, il lungo viaggio di ritorno verso casa, che ci fa scorgere un altro punto di vista, una zona d'ombra di cui non tutti parlano: il dopo. Cosa accadde dopo la liberazione? Come è stato il viaggio di ritorno? Tornare alla vita è stato veramente facile? Ma si è mai usciti veramente da Auschwitz? E, infine, dedicarsi con attenzione al suo ultimo testo: I sommersi e i salvati, un saggio davvero interessante ed emozionante scritto molti anni dopo, nel quale Levi torna ad affrontare alcuni discorsi sul Lager, sui comportamenti umani, sui rapporti tra vittime e oppressori, sui 'collaboratori' che fanno parte della cosiddetta “zona grigia”, cercando di trovare e allo stesso tempo donare risposte ai tanti giovani che forse, non avendo vissuto tale atrocità sulla propria pelle, non riescono a comprendere del tutto. Ma non si poteva scappare? Non ci si poteva ribellare? Non si riusciva ad andar via prima? Sono domande che sorgono facilmente, ma alle quali Primo Levi dona delle riflessioni molto interessanti. E come mai la gran parte dei Tedeschi scelse di voltarsi dall'altra parte o di seguire un'ideologia atroce? Quali sono i loro pensieri? Questo è stato uno dei suoi tormenti più grandi: la curiosità di capire questi uomini e donne, attraverso anche delle lettere che ha ricevuto dopo la pubblicazione in Germania di Se questo è un uomo.
In questo saggio Levi riprende molti degli elementi già toccati in Se questo è un uomo e la Tregua, analizzandoli più approfonditamente. Il problema nel provare a spendere qualche parola su questa lettura sta nel fatto che avrei davvero voluto sottolineare ogni cosa, ma scriverne diventa più complesso. Levi ha quella capacità di mostrarti direttamente le cose, di coinvolgerti totalmente nei suoi pensieri e spingerti soprattutto ad aprire la mente, a comprendere veramente quello che è stato, quello che è capace di fare l'essere umano, quello che può tornare a essere fatto (e che in verità è successo ancora e continua purtroppo ad accadere, anche se in forme apparentemente diverse e non così 'organizzate'). Ti smuove qualcosa dentro, è impossibile rimanere impassibili o annoiati di fronte ai suoi ragionamenti. Come dicevo, ho amato particolarmente i suoi scritti, perché non si limita a far commuovere con la sua storia, ma ti pone davanti alle zone d'ombra della nostra umanità.
Dopo una prima introduzione il saggio si articola in otto capitoli, più la conclusione finale, nei quali cerca di approfondire temi di cui ha sempre parlato nel corso della sua vita.
La memoria umana è uno strumento meraviglioso, ma fallace.
Una delle più grandi paure dei 'salvati' era quella - fomentata anche dagli aguzzini - di tornare a casa e non essere creduti. Levi parte dal concetto di Memoria dell'offesa, e di quanto sia fallace. Se da un lato gli oppressori costruiscono un passato di comodo, alterando i fatti reali, e finendo per crederci veramente; per gli oppressi si tende quasi a usare una sorta di filtro dei ricordi traumatici a scopo di difesa. In molti, inizialmente, hanno scelto di non parlare. Un po' per quella paura di non essere creduti, un po' perché certe memorie potevano infliggere ancora più un senso di colpevolezza per essersi salvati. Perché io? È una domanda che risuona spesso nelle testimonianze lette.
Uno dei capitoli più importanti nel quale Levi si sofferma è la cosiddetta Zona Grigia, quella zona intermedia tra padroni e servi, nella quale si collocano i “privilegiati”: persone grigie, ambigue, pronte al compromesso. I collaboratori che si ritrovarono volenti o nolenti a svolgere azioni anche contro i loro stessi compagni, per sopravvivere. Primo Levi ne offre diversi esempi, come i Kapos, ma cita anche i Sonderkommandos, un ruolo davvero difficile. Erano loro a occuparsi della gestione dei crematori. E in pochi riuscirono a sopravvivere, perché, sapendo troppo, andavano poi eliminati. Nella macchina assurda creata dal regime del Terzo Reich, c'è questo ulteriore tentativo di distruggere del tutto le proprie vittime. Delegando agli ebrei stessi certe azioni, non solo consentiva alle SS di alleggerire la propria coscienza, ma anche di incrementare il senso di colpa verso quella sotto-razza, piegata persino a distruggere se stessa.
Nella maggior parte dei casi, l'ora della liberazione non è stata lieta né spensierata: scoccava per lo più su uno sfondo tragico di distruzione, strage e sofferenza.
Nel terzo capitolo affronta poi meglio il senso di Vergogna che avvertivano tutti coloro che riuscirono a salvarsi. Mi ha toccato particolarmente un concetto che aveva già espresso nel suo libro La Tregua. Molto spesso, soprattutto nei film, la liberazione viene rappresentata come un motivo di profonda gioia e spensieratezza. Ma non per tutti era così. Infatti, essere liberati significava ridiventare uomini, e questo comportava anche ritrovare tutte quelle paure dell'uomo. I salvati hanno ora il tempo per riflettere, ragionare, per pensare a tutto ciò che hanno subito o che sono stati costretti a fare pur di sopravvivere. E li assale un senso di profonda angoscia, che a volte porta al suicidio. Anche quest'ultimo concetto è interessante: Levi, infatti, sostiene che nei Lager i suicidi erano rari. Perché? Semplicemente non c'era il tempo di pensare al concetto di morte. C'erano la fame, il lavoro e il freddo da affrontare. Nel corso delle mie letture questo senso di colpa torna sovente: al momento della liberazione, infatti, i salvati provano la sensazione di essere giudicati per non aver compiuto atti di resistenza o di solidarietà umana. E ci si rende conto anche di quanto il genere umano sia capace di costruire una mole infinita di dolore.
Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti.
Torna poi a parlare della Comunicazione, della lingua, dell'importanza di conoscere il tedesco, che avrebbe rappresentato ancora di più un'occasione per andare avanti.
Levi parla anche di Violenza inutile: quella macchina nazista era perfettamente costruita per umiliare totalmente i 'parassiti'. Dalla costrizione della nudità, alla mancanza di un cucchiaio per mangiare la misera zuppa, riducendoli a leccarla come fossero dei cani; per poi passare al tatuaggio, il nuovo nome.
Il «nemico» non doveva soltanto morire, ma morire nel tormento.
E questa crudeltà non si riduceva solo ai terribili esperimenti umani, ma anche alle spoglie dopo la morte: non erano più resti umani, ma materia bruta, indifferente, buona in qualche impiego industriale. Lo scopo era quello di degradare la vittima, affinché l'uccisore sentisse meno il senso di colpa.
Levi riflette poi anche sul vantaggio o lo svantaggio di essere un intellettuale ad Auschwitz. Se da un lato per chi non era abituato al lavoro manuale era veramente difficile, dall'altro lui ha visto questa 'esperienza' come una sorta di università: un modo per guardarsi intorno e misurare gli uomini.
Un altro capitolo, a mio parere, molto interessante è quello sugli Stereotipi. Qui cerca di rispondere alle tante domande che gli furono rivolte soprattutto dai giovani: Perché non siete fuggiti? Perché non vi siete ribellati? Perché non vi siete sottratti alla cattura prima? Su questo però non voglio rivelare troppo. Perché ritengo essenziale leggerlo di persona. Secondo me riesce a rispondere perfettamente a tali dubbi.
A me spettava capire, capirli. Non il manipolo dei grandi colpevoli, ma loro, il popolo, quelli che avevo visti da vicino, quelli tra cui erano stati reclutati i militi delle SS, ed anche quegli altri, quelli che avevano creduto, che non credendo avevano taciuto, che non avevano avuto il gracile coraggio di guardarci negli occhi, di gettarci un pezzo di pane, di mormorare una parola umana.
Nell'ultimo capitolo poi si concentra sulle lettere dei tedeschi che ha ricevuto a seguito della pubblicazione in Germania di Se questo è un uomo. Levi ha sempre cercato di comprenderli, di capire il motivo per cui hanno scelto di seguire Hitler, di voltarsi dall'altra parte, di non mormorare nei loro confronti neanche una parola umana.
Insomma, questo volume è prezioso. Va letto non solo per capire quello che è accaduto, ma anche per essere pronti a osservare il mondo con occhi più attenti. Perché quello che è stato può tornare (e purtroppo è già tornato...).
Volevo anche consigliarvi un altro volume che riprende in maniera diversa i tanti concetti su Auschwitz di cui Primo Levi ha sempre parlato nel corso della sua vita: la raccolta “Auschwitz, città tranquilla”, che racchiude dieci racconti incorniciati da due poesie (Schiera Bruna e Canto dei Morti invano). Levi ha sempre descritto la sua esperienza attraverso un duplice punto di vista: quello di vittima, ma anche quello di osservatore, cercando di capire il funzionamento del Lager e delle persone che vi agivano, dagli aguzzini, ai collaboratori, agli oppressi.
Attraverso questi racconti Levi torna nel Lager, mediante se stesso e alcune sue esperienze, o la descrizione di alcuni personaggi incontrati; ma anche tramite l'invenzione di alcuni racconti più simili al genere fantascientifico, ma che alludono sempre alle situazioni vissute nel Lager stesso.
Come ad esempio il “Ciclo tedesco”, tre storie racchiuse nel volume Storie Naturali scritto sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila, in cui attraverso delle storie di fantasia, affronta temi che alludono alla violenza nazista (ma non solo, proprio del genere umano). La riduzione dell'essere umano a oggetto e preda sessuale (La bella addormentata nel frigo), le manipolazioni genetiche contro individui di razza inferiore, per disgustosi esperimenti (Angelica Farfalla), o il tentativo di manipolare le emozioni umane, convertendo il dolore in piacere (Versamina).
Il dolore non si può togliere, non si deve, perché è il nostro guardiano. (da Versamina)
Ci sono poi due racconti presi da Il Sistema Periodico: Cerio, in cui racconta un'avventura con il suo amico Alberto; e Vanadio, ispirato a una vicenda reale, con l'incontro dopo la liberazione con il dottore Müller (uno dei rappresentanti della Zona Grigia).
Capaneo, Forza Maggiore, Il re dei Giudei, Auschwitz città tranquilla e Un giallo del lager, completano questa raccolta davvero interessante, che a mio avviso riesce a completare un po' tutto il discorso e le riflessioni che aveva già esposto nei suoi testi sul Lager.
Come dicevo all'inizio di questo articolo, scrivere di Primo Levi per me è complicato. Ma leggerlo ne vale la pena. Anche perché attraverso la memoria della Shoah invita con forza, a volte anche con toni molto forti (come nelle sue poesie), a riflettere anche sul presente, a ragionare su certe azioni, soprattutto dei potenti. Perché sì, purtroppo il genere umano è capace di fare un male impensabile, ma non è una prerogativa del passato. Ancora oggi, purtroppo, i sommersi sono tantissimi.
Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. È questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per la loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto: ma sono loro, i «mussulmani», i sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deposizione avrebbe avuto significato generale. Loro sono la regola, noi l'eccezione.
Sai, Primo?
Mi è capitato di passare davanti alla tua casa a Torino, quella in cui hai vissuto sempre, quella in cui ti hanno trovato senza vita. Ed è stata un'emozione indescrivibile. Pensare di percorrere le stesse strade attraversate dai tuoi passi, mi provoca una sensazione strana, orgoglio, commozione. Non so mai se riesco a scrivere di te nella maniera più opportuna. Ma provo comunque a leggerti, a diffondere nel mio piccolo il tuo pensiero, il tuo messaggio, le tue parole. A volte mi chiedo se alla fine quel desiderio di porre fine alla tua vita ha colto anche te, come altri. Forse il senso di colpa era troppo grande, o forse Auschwitz non ha mai davvero abbandonato i tuoi sogni. Ma so che attraverso i tuoi libri ci hai donato tanto. Forse non eri uno scrittore, almeno inizialmente, ma poi lo sei diventato. Quanto fai riflettere con i tuoi scritti. A volte mi chiedo cosa avresti pensato di questo mondo, dove l'odio continua a diffondersi, dove le guerre non vogliono avere fine, dove ancora oggi c'è chi è considerato razza inferiore e viene torturato in una sorta di Lager, lontano dalle notizie del mondo. Forse l'uomo non imparerà mai a non vedere nell'altro qualcuno di inferiore. Ho paura. E forse nel mio piccolo provo anche un forte senso di colpa, perché non ho la forza o il coraggio di fare molto.
Quanto vorrei che i tuoi libri e il tuo messaggio arrivassero a più persone possibili. Ma soprattutto che non venisse storpiato o utilizzato per sporchi fini politici.
Nel mio spazio ti dono voce. Magari non nella maniera più adatta, ma ci ho provato.
E semplicemente ti ringrazio.
Alla fine, dopo aver percorso questo viaggio con te, mi sono anche un po' affezionata, sai?
il 21/02/2023 07:59