Timone d'Atene, di William Shakespeare - #aTeatroconShakespeare

25 ott 2022

Libri

Lettura di settembre del mio progetto #aTeatroconShakespeare


Sono in super ritardo per il mio progetto sul teatro di William Shakespeare, ma non demordo! 
A settembre ho letto l'ultimo dramma classico “Timone d'Atene” e devo dire che per temi mi è piaciuto davvero molto. Fa parte di una di quelle opere di cui non sapevo assolutamente nulla, ma mi ha sorpreso piacevolmente. Anche se secondo alcuni critici non è tutta opera del bardo, ma è stata scritta in collaborazione con Thomas Middleton, è riuscita a conquistarmi e a trasmettermi anche una sorta di profonda tristezza, riflettendo su quanto sia facile, anche oggi, rimanere delusi dal genere umano, dai falsi amici, dagli adulatori che al momento della tua caduta ti lasciano solo, incapaci di sostenerti. Persone fossilizzate solo a seguire il mero guadagno, il Dio Denaro.


Fonti:

  • Fonte originaria è il Dialogo “Timone, o il Misantropo” di Luciano di Samosata (125-180 d.C.); ma Shakespeare potrebbe averla conosciuta grazie alla commedia “Timone”, di Matteo Maria Boiardo, modellata sul dialogo di Luciano (1487).
  • “Vite Parallele” di Plutarco, nella traduzione di North. Timone è visto come un uomo malvagio che evitava la compagnia di tutti, tranne quella del filosofo scettico Apemanto e del giovane Alcibiade.
  • Novella 28 del primo volume della raccolta di William Painter “The Palace of Pleasure”.


Pensieri sull'Opera


POETA: Quando la volubile Fortuna cambia umore
dà un calcio al suo ex favorito;
e tutti i suoi seguaci che, trascinandosi carponi,
arrancavano dietro a lui verso la cima del monte,
lo lasciano cader giù,
e nessuno più segue il suo declino.


© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice
[immagine: The Fugitive Study for Timon of Athens - Thomas Couture]



Siamo ad Atene e veniamo introdotti alla storia di Timone dai discorsi di quattro personaggi senza nome: un pittore, un poeta, un gioielliere e un mercante. 
Timone è un ricco ateniese dal carattere generoso - forse in modo esagerato - e ama elargire doni a tutti coloro che ne hanno bisogno. Nel primo atto lo vediamo invitare tutti, nobili, senatori e non solo a un sontuoso banchetto, alla fine del quale continua a distribuire il suo patrimonio senza parsimonia. Timone crede ciecamente di avere attorno a sé degli amici, ma non comprende almeno inizialmente quanto invece sia circondato da parassiti e adulatori, che lo elogiano soltanto per avere parte delle sue ricchezze. Ci sono però altri personaggi che sembrano accorgersi di quanto i suoi gesti, seppur generosi, rischino di ridurlo alla rovina. Da un lato il cinico filosofo Apemanto, che cerca di mettere in guardia il nobile dagli inganni e dall'avidità degli uomini; dall'altra il suo fedele intendente Flavio, che comprende sempre di più quanto tutta quella bontà del suo signore, lo stia spingendo alla sua rovina.


FLAVIO: [ ... ] La generosità, purtroppo, non si guarda alle spalle,
e l'uomo generoso si riduce in rovina.


Quando le cose vengono a galla, e Timone si rende conto di aver dilapidato la sua Fortuna ed essere pieno di debiti, non sembra farsi troppi problemi: lui è sicuro che i suoi amici, quelli che per lui sono le vere ricchezze, potranno aiutarlo in questo momento di difficoltà, come del resto lui ha fatto con loro. Ma ben presto va incontro a una vera e propria delusione. Timone rimane solo, nessuno corre in suo soccorso, nessuno si fa più vedere. 


APEMANTO: Purtroppo l'uomo è sordo al buon consiglio,
ma non è sordo affatto alla lusinga.


L'ipocrisia dei presunti amici e il vero interesse per il denaro si fa ancora più chiaro quando tornano da Timone all'invito presso un nuovo banchetto. Tutti gli adulatori fingono di aver avuto dei problemi, inventano motivi assurdi per non averlo aiutato, e Timone ricambia, in un primo momento, la finzione. Finge fino a quando i commensali non sollevano i coperchi dei loro piatti, trovandovi solo pietre e acqua calda. Timone è furioso, scaglia parole pregne di odio verso quelle persone che pensava amiche, maledice la città di Atene, corrotta e falsa, e seguendo la sua follia, si allontana verso la natura, alla ricerca della sua verità e della solitudine, lontano da quegli uomini che ora odia ferocemente. Timone se ne va, nudo, e si nasconde all'interno di una grotta. Diviene un misantropo che si scaglia feroce contro l'essere umano. 
Mentre scava alla ricerca di radici da mangiare, trova proprio quell'oro capace di corrodere l'animo umano, di renderlo servo, egoista, incurante della vera amicizia. Qui incontra anche Alcibiade, giovane soldato esiliato che medita vendetta contro Atene e i suoi senatori. Timone, seppur inveisca contro di lui e le due prostitute che lo accompagnano, gli dona dell'oro, invitandolo a non avere nessuna pietà né del vecchio, né della matrona, né della vergine e neanche del bambino, deve solo generare caos e strage, furia, peste e vendetta. Sono altre le persone che arrivano davanti ai suoi occhi, scoprendo del nuovo denaro. Timone riesce ad avere un po' di pietà solo per il suo fidato Flavio, ma per gli altri ha solo parole di puro odio. È un tipo di vendetta che si affida alla parola, alle maledizioni, alle invettive, più che alla violenza fisica. E anche all'uso proprio di quel denaro che lo ha spinto in quel baratro. Oro usato per compiere la sua vendetta.

Timone d'Atene diventa un archetipo al pari di personaggi come Otello, Amleto e Re Lear. In lui viene raffigurata l'immagine del misantropo, di un uomo divenuto tale perché deluso dal genere umano, che lo ha ingannato e lasciato solo nel momento più difficile, troppo egoista e servo di quel dio denaro che lui dispensava con tanta (troppa!) generosità. 

È un dramma morale, che mette in scena la lotta tra vizi e virtù, tra ipocrisia e abbandono e pura fedeltà. E ancora una volta c'è un confronto tra città - corrotta e ipocrita - e natura (il bosco, la grotta) in cui ritrovare la verità, la purezza, e che quindi Timone vuole mantenere incontaminata dall'oro. 

Può essere considerata una tragedia di vendetta, in questo caso però morale. Una vendetta di Timone contro una società che ha accettato un mondo di falsi valori, in primo luogo quel Dio Denaro che corrode i rapporti. 


Sole, nascondi la tua luce.
È finito il regno di Timone.


È proprio questo tema che mi ha molto colpito e che rende ancora una volta il lavoro di William Shakespeare estremamente attuale. Quanto ancora l'uomo è affascinato dal denaro? Quanti sono capaci di adulare una persona solo per ottenere qualcosa? I rapporti di amicizia sono davvero autentici od orientati a un fine ben preciso e anche egoistico? 
La rabbia, il dolore, e quel desiderio di vendetta di Timone li ho avvertiti tutti e in qualche modo compresi. Sì, lui ha sbagliato a lasciarsi andare a tanta generosità, anziché aprire gli occhi, ma allo stesso tempo quanto fa male scoprire che quelle persone che ritenevi amiche e che hai aiutato in ogni modo, in verità si comportavano con te in maniera talmente ipocrita e meschina?

Ma quanto è meravigliosamente attuale Shakespeare? Forse è per questo che a me piace tantissimo leggerlo e compiere questo magico viaggio, che mi terrà ancora compagnia per un anno! 

C'è da aggiungere che pur essendo un testo completo, rimane la percezione che alcune parti siano state solo abbozzate, come se mancasse una revisione al testo. 

E voi, conoscevate questo dramma classico?


Ho letto l'opera nella traduzione di Renato Oliva, contenuta nei Drammi Classici dei Meridiani Mondadori.
Alcune informazioni per le mie riflessioni le ho prese dai seguenti volumi:

  • “Shakespeare. Genesi e struttura delle opere”, di Giorgio Melchiori
  • Una lezione on-line di Cesare Catà.


♥♥♥♥


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