Ci sono libri di cui è difficile scrivere, ma allo stesso tempo li ritengo talmente importanti per temi, che sento un bisogno ancora più forte di condividerli. Quando si affrontano tematiche quali la violenza di genere, lo stupro, la misoginia diffusa, si sa già, in fondo, che quel libro potrà farti molto male, soprattutto quando noti che dagli anni settanta (quando Una è nata e affronta la sua adolescenza) ad oggi, certe cose non sono del tutto cambiate. Anzi.
Io sono Una, di Una - artista e scrittrice - è un racconto intimo, un libro liberatorio per la sua autrice, che tenta di elevare - attraverso l'arte - un grido a nome di tutte le donne che hanno subito e continuano a subire violenze di genere. Una, con questo suo lavoro, non ha un intento moralistico, ma attraverso le parole e le illustrazioni, apparentemente semplici ma potenti, cerca non solo di mostrare quel che succede quando le donne non sono veramente ascoltate da una società piena di tabù e credenze assurde, ma anche di spingersi tutti a farsi delle opportune domande. Uomini e Donne.
Mi chiamo Una.
Una.
Una vita, una fra tante.
Una ama la musica e l'arte. Sin da piccina impara a suonare la chitarra e in particolare ama una canzone "Walk Tall" di Val Doonican che le insegna a camminare dritta e a guardare il mondo dritto negli occhi. Ma troppo presto Una impara ad abbassare lo sguardo.
Ha solo dieci anni quando un uomo abusa di lei, e non sarà l'unico. Da bambina sicura di sé e ricca di immaginazione, inizia ad avere mille paure, a chinare il capo, ad avvertire un profondo senso di vergogna, mentre le parole sembrano ferme. Mute. La violenza subita e l'atteggiamento stesso della comunità pronta ad attaccare, giudicare e soprattutto incapace di ascoltare veramente, la spingono a cambiare, a trattenere tutto dentro, nonostante gli incubi, le paure, un forte senso di malessere. Una è sempre più isolata, svuotata. Inizia a non andare più a scuola o a prendere brutti voti, e a compiere gesti che la portano ad avere una 'brutta reputazione', allontanandola ancora di più dagli altri, sentendosi ancor di più giudicata, disprezzata, o anche manovrata. Prova ad andare da psichiatri che però non riescono a comprendere; nessuno fa le giuste domande, nessuno - compresa la famiglia - vuole affondare in quell'oscurità, in quel dolore. È un mondo chiuso quello in cui vive, lo Yorkshire, fortemente misogino e soprattutto scosso, dal 1977 (quando Una ha dodici anni) da una serie di misteriosi omicidi da parte di un 'nuovo' squartatore che da prima si scaglia contro le prostitute o 'presunte tali' secondo il giudizio della gente, ma la scia di sangue non si ferma lì. Siamo in una società chiusa, dicevo, in cui l'omicidio di puttane sembra essere accettabile, ma quando si iniziano a colpire persone 'per bene', la paura si diffonde, e l'omicida deve avere davvero qualcosa che non va. Alle ragazze si inizia consigliare di vestirsi in maniera adeguata, di non tornare a casa troppo tardi, di comportarsi in modo consono, quasi a sottolineare che la colpa di un'eventuale violenza è anche della stessa vittima. Ancor peggio, a evidenziare quanto sia proprio un problema della società stessa, ci sono molti indizi che potrebbero portare in breve tempo alla scoperta del colpevole, ma il più delle volte le testimonianze non vengono ascoltate: perché provengono da donne di strada, o da ragazzine troppo giovani, che non vengono credute, anzi prese pure in giro.
La regola era che le ragazze dovevano tenere i ragazzi sotto controllo. (...) Dai ragazzi, invece, non ci si aspettava che si controllassero. Le ragazze dovevano essere sexy ma non troppo e, anche se la velocità alla quale crescevano non dipendeva affatto da loro, dovevano stare attente a non spaventare la gente con il loro seno e le loro cosce. Dovevano fare "cose sessuali" per venire desiderate, ma dovevano farle senza rivelare i loro, di desideri. Era persino concesso loro di "farlo" a condizione che "lo" tenessero segreto. "Puttana" era la cosa peggiore che una ragazza potesse essere. (...) Una volta che sei stata etichettata, niente di quello che fai o dici fa la minima differenza.
È un graphic novel potente e anche disturbante che alterna e incrocia allo stesso tempo i fatti di cronaca con la vita di Una, il suo dolore per una famiglia ormai distrutta, le ferite sempre aperte di una persona che non viene ascoltata, né compresa, e anzi viene allontanata e isolata. Una era solo una bambina quando è stata abusata da un uomo adulto. E una ragazzina quando altri uomini sono andati oltre, forti della loro potenza, della loro prevaricazione sessuale. Capaci di far quasi sentire in colpa la propria vittima, facendole sorgere dei dubbi su se stessa. In fondo se sono il tuo fidanzato, posso prendere ciò che è mio, e nessuno ti crederà se dirai di non essere stata consenziente. No?
Nel leggere questo libro mi sono sentita molto scossa, piena di rabbia, incredula. E viene proprio voglia di gridare davanti a frasi che in fondo risuonano ancora oggi. Quante volte si sentono ancora giudizi sull'essersela cercata perché vestita in un certo modo, o quanta paura abbiamo noi donne di uscire da sole, soprattutto di notte? Se su certe cose si sono mossi passi avanti, c'è ancora quella percezione di sentirci sempre inascoltate, non comprese, per cui diventa anche facile capire perché chi subisce violenza tenda a non parlarne.
L'idea del "sopravvissuto forte" dovrebbe essere trattata con cautela.
Non voglio sembrare ingrata. Sono felice di essere viva, di avere una vita, ma mi chiedo chi sarei stata se non fossi stata interrotta con tanta brutalità.
E quelli che non sopravvivono? È perché non si sono impegnati abbastanza?
Sono letture che fanno male, sì, eppure credo che a volte dobbiamo riuscire ad affrontare certi argomenti e farli conoscere ad altri. Fare piccoli passi per far sentire quelle voci che per troppo tempo sono rimaste silenziose. E non solo.
Di fronte a letture simili ho sempre paura di non riuscire a spiegare al meglio contenuti e pensieri, ma se vi va, vi invito a leggerlo per farvi anche una vostra idea.
Personalmente non ho amato molto i disegni, perché preferisco un diverso stile artistico, ma li ritengo sicuramente efficaci per trasmettere al meglio il messaggio, sottolineando ancora di più il testo, rafforzando certi concetti, certe paure, certe ferite che difficilmente possono rimarginarsi.
Tutto il coraggio che c'è ogni giorno nel mondo... non lo conosciamo.
Nessuno lo racconta.
Immaginate il volume, se dovessimo sentire il suono di tutte quelle voci in una volta sola.
Dobbiamo ascoltarle.
Altrimenti saremo unite soltanto dal silenzio.