Perdere la vista è qualcosa che scatena dentro di me una paura indescrivibile. Quando, anni fa, la mia miopia si è palesata, ho avvertito un forte senso di disagio, rabbia e un'intensa tristezza. Sì, a confronto con malattie gravi può essere un nulla, e alla fine ormai mi sono abituata a vedermi con gli occhiali, ma in quel momento è stato molto difficile accettarlo. Il pensiero di non vedere proprio più mi annienta. Non so se avrei il coraggio di affrontare qualcosa di simile. Ma perché queste parole? Perché è un po' quello che accade alla protagonista di uno degli ultimi lavori di Benjamin Lacombe, un artista francese il cui stile amo profondamente. Per me, avere in casa i suoi libri, è come essere proprietari di piccoli tesori d'arte, che spero un giorno di riuscire a collezionare quanto più possibile.

I suoi occhi opalescenti non tradivano alcuna emozione.

Cécité Malaga è una ragazzina dall'incarnato di porcellana, e dai grandi occhi opalescenti che non tradiscono alcuna emozione. Giunge un giorno, da sola, davanti all'ingresso del tendone del circo del Signor Franconi, con i vestiti laceri e lo sguardo vitreo e spento, non proferendo alcuna parola. L'uomo, però, ne fa una vera e propria stella.

Ogni notte Cécité danza sull'abisso. Una funambola che scivola leggera sulla corda, con tutti gli occhi del pubblico puntati su di se, accordi di cuori e sospiri, e una sicurezza che pian piano le diventa amica. Si muove attenta, incurante del pericolo. Rischia tutto, perché in fondo non ha più niente da perdere. Non sa chi è, non sa da dove viene. È stata privata della sua identità e della sua storia.

Ma un giorno la corda oscilla, e la ragazzina cade.
Una caduta che però è anche una rivelazione. I ricordi affiorano di nuovo, prima nebulosi, poi sempre più chiari. Un verde intenso e poi una scia di altri colori ben nitidi. Torna il passato, ritrova se stessa, e anche una nuova consapevolezza: deve riuscire a vivere di nuovo, a cambiare la sua vita, a essere ancora una volta felice, nonostante tutto.

Cécité Malaga è una piccola perla, più da guardare che da leggere. Le frasi sono poche anche se raccontano perfettamente una storia. Ma, come sovente accade, sono i disegni che incantano, ma anche le pagine. Sì, perché, ancora una volta Benjamin Lacombe lavora non solo su illustrazioni e colori ma anche sulla carta stessa. E allora ecco che la nostra vista è disturbata da principio a causa di pagine nere, e un velo - con l'uso di pagine velate - che sembra impedirci di vedere bene. Come a farci immedesimare quanto più possibile con la giovane protagonista. Ma, dopo la caduta, la nostra vista ormai abituata a quell'oscurità, deve subire un nuovo stravolgimento: pagine bianche si alternano a colori vividi e pennellate decise e ben nitide. Come lei torna a vedere, anche noi possiamo farlo. L'autore ci regala così un vero e proprio viaggio sensoriale, che affascina e ammalia.

Nella post-fazione Lacombe descrive un po' la sua idea.
L'uomo, infatti, ha avuto un'esperienza di “cecità corticale”, una perdita della vista dovuta a un trauma fisico, una grave caduta, un incidente vascolare o uno choc a livello psicologico. La vista, però, può essere poi recuperata parzialmente o interamente.
A seguito di un lutto e un dolore molto forte, Benjamin Lacombe ha smarrito la vista per qualche ora, provando sulla sua pelle panico, terrore, e un profondo senso di vertigine che ha poi voluto riproporre su carta.
Ma, il blocco che tutti abbiamo affrontato a causa di questo terribile virus, gli ha permesso anche di pensare al finale: una fine che dà speranza, invitando così anche noi a cambiare la nostra vita, cercando di costruire un presente e un futuro magari più radiosi.

Come dicevo, io amo profondamente l'arte di Benjamin Lacombe, quindi ve lo consiglio con tutto il cuore. Al di là delle parole, si può vivere un viaggio davvero pieno di sensazioni ed emozioni. La sua arte non si fa solo ammirare, ma permette di vivere di persona la storia che andrai a leggere. Bellissimo.