Shakespeare, mio caro Shakespeare.
Questo progetto che sto portando avanti ormai dal maggio 2020 è arduo, ma contro ogni aspettativa non mi sono ancora bloccata. Anzi. Mentre proseguo con le sue opere, sto anche leggendo alcuni saggi, che mi permettono un po' di arricchire tutto con qualche sfumatura in più. In dei momenti forse è più facile: alcuni lavori li ho già letti o sono così conosciuti da non aver problemi, in altri casi (come questo), mi approccio per la prima volta al testo, e diciamolo, Shakespeare non va letto con leggerezza. E forse, non sempre riusciamo a scorgere ogni singolo aspetto che viene trattato. In effetti, come dico sempre, io sono solo una semplice lettrice che non ha studiato il suo teatro. Mi piace leggerlo, e approfondirlo con testi di studiosi, ma non sono esperta. Questo ci tengo a ribadirlo con forza. Perché magari può succedere di far piccoli errori nella comprensione del testo.
Oggi vi parlo di un dramma dialettico di cui non avevo mai sentito parlare. Sì, va bene il titolo lo conoscevo, visto che poi è diventato anche un proverbio molto usato, ma mi sono avvicinata alla lettura senza conoscere nulla a riguardo. Alla fine, però, devo dire che mi è piaciuta molto.
Sto parlando, come da titolo, di Tutto è bene quel che finisce bene, una delle dark comedies - commedie nere -, insieme a Troilo e Cressida, e Misura per Misura. Commedie con una sorta di lieto fine sì, ma con un consueto senso di amarezza di fondo.
Fonti
- Decameron, di Boccaccio: la nona novella della terza giornata, nella versione inglese di William Painter, inclusa nel primo volume del suo Palace of Pleasure (1566).
Pensieri sull'Opera
L'onore fiorisce
quando lo deriviamo dalle nostre azioni,
anziché dai nostri antenati. La parola "onore" non è
che una pezzente prostituta su ogni pietra tombale:
è un epitaffio mendace, e spesso è muta
laddove la polvere e un dannato oblio sono tomba
di ossa veramente onorate. [Re di Francia - Atto II scena III]
Tutto è bene quel che finisce bene inizia con una morte. Anzi due.
Sia il Conte di Rossiglione sia il medico di corte Gerardo di Narbona sono venuti a mancare. Bertramo, figlio del conte, avverte il desiderio di raggiungere il Re di Francia. La sua lontananza colpisce la giovane Elena, di estrazione sociale inferiore essendo la figlia del medico, ma innamorata del nobile. Ed è per questo che cova dentro di sé uno scopo: se riuscirà a guarire la fistola che affligge il re di Francia forse potrà avere l'oggetto del suo desiderio. La Contessa, madre di Bertramo, scoperto questo amore, e provando per la ragazza un affetto materno, accetta il suo volere, ed Elena va a Parigi. Tramite una cura tramandatale da suo padre riesce a guarire il Re, il quale acconsente a farle un dono: può scegliere, tra i vari nobili, l'uomo che vuole sposare. Elena non ha dubbi. Vuole Bertramo e, nonostante una prima opposizione del giovane, riesce a sposarlo - perché è il re che lo impone -. Ma le cose non sono così facili. Bertramo, infatti, fugge in Italia, a Firenze, in guerra, pur di non stare al suo fianco. Però le fa sapere che potrà essere veramente suo marito soltanto quando Elena avrà l'anello che mai toglierà dal suo dito e un figlio suo, cosa che per lui non potrà mai accadere, perché non intende andare a letto con lei, non consumando così il matrimonio. Elena, però, con intelligenza e arguzia persegue il suo scopo e, una volta a Firenze, grazie anche a una solidarietà tutta femminile - l'aiuto di Diana, ragazza corteggiata dal conte, e sua madre -, e uno scambio di ruoli e anelli, riuscirà nel suo intento. Nonostante i problemi, tutto è bene quel che finisce bene, o forse no? L'opera poi, iniziata con la morte, si conclude con l'annuncio di una nuova vita. Ma, come tutte le dark comedies, è un lieto fine che ha un sapore amaro, di rassegnazione e ambiguità. Bertramo, sconfitto dall'arguzia di Elena, è costretto ad accettare tale unione. Nel finale, inoltre, tutti i personaggi si rivelano per quello che sono e il Re invita il pubblico a mostrare il proprio gradimento, affinché tutto finisca bene.
Ama tutti, fidati di pochi,
non far torto a nessuno. Confrontati col nemico
piuttosto in potenza che di fatto, e assicurati l'amico
con la tua vita stessa. Lasciati criticare per il tuo mutismo,
anziché per quel che dici. [Contessa - Atto I scena I]
Come sempre avviene Shakespeare unisce alla trama principale, anche una secondaria, che vede come protagonista il personaggio, da lui inventato, Parolles, seguace e consigliere di Bertramo. Il loro rapporto ricorda un po' quello tra il giovane Hal e il vecchio Falstaff della prima parte dell'Enrico IV, anche se i risvolti saranno poi differenti. Parolles è un uomo di tante parole - sarà tra i personaggi con più battute - ma pochi fatti concreti. Un uomo vigliacco, spaccone, un millantatore, che verrà poi sbeffeggiato, ma che si attaccherà con forza alla sua vita, disposto a perdere anche onori e valori pur di mantenerla intatta. Nel saggio Maestre d'Amore, Nadia Fusini lo vede come il simbolo di quei nuovi cittadini dell'epoca di Shakespeare, che non vogliono servire a niente e a nessuno, ma solo a se stessi, in netta contrapposizione con la vecchia classe nobiliare.
William Shakespeare, come sempre accade, riprende una storia già scritta - in questo caso una novella del Decameron di Boccaccio -, rielaborandola a suo modo: aggiungendo personaggi, ma anche nuovi temi. Di sua invenzione sono, infatti, Parolles, ma anche la Contessa, madre di Bertramo, e il nobile Lafeu, osservatore e lucido commentatore degli eventi. Tramite la Contessa e il suo rapporto con il clown e la giovane Elena, c'è una riflessione importante sulla mancanza di pregiudizi di casta, contestando anche la concezione tradizionale di nobiltà basata sul sangue. La Contessa ama Elena come sua figlia e accetta un eventuale matrimonio della ragazza con il suo vero figlio, incurante del suo sangue non nobile. A differenza di Bertramo, giovane superficiale e incosciente, vanesio e narcisista - che si lascia anche influenzare da altri - che non la vuole, preferendo scappare in guerra, e corteggiando fanciulle che vogliono mantenere la propria castità e verginità.
Spesso i rimedi che ci aspettiamo dal cielo
stanno già in noi. Il cielo fatidico
ci dà via libera; è la lentezza dei nostri piani
che ci tiene indietro, perché siamo pigri. [Elena, Atto I Scena I]
Il tema portante, in questo caso, è l'onore e la vera nobiltà. Onore che viene tratteggiato nelle sue diverse sfumature: sociale, sessuale, militare, ereditario, femminile.
Interessante è ancora una volta l'uso di certi nomi che non è mai casuale: Elena, come la donna più erotica della tradizione occidentale, si contrappone a Diana, la dea più casta.
In questo caso, poi, l'oggetto del desiderio è un uomo. È Elena che vuole conquistare il suo amore, e lo fa dimostrando tutta la sua intelligenza e la sua astuzia. Cercherà in tutti i modi di conquistare Bertramo e lo farà per ben due volte.
Ogni volta che mi ritrovo a leggere di questi personaggi femminili, di una tale potenza, penso sempre all'epoca in cui sono state scritte queste opere: una società dove tutti i ruoli erano portati in scena da uomini, incrementando così le allusioni, la confusione, ma forse anche il divertimento.
È una commedia ricca di doppisensi, sessualmente esplicita, di battute che mi hanno fatto sorridere in più di un'occasione. E, anche se Elena persegue i suoi scopi forse in modo non proprio consono, io l'ho adorata. Ammetto di aver sorriso nel vedere come ha ingannato quel superficiale e antipatico di Bertramo! Ma questo, come sempre, è un mio parere.
Un'opera che contrappone la vecchia classe nobiliare, con i suoi ideali e valori, a personaggi più moderni.
Ho letto l’opera nella traduzione di Giorgio Melchiori contenuta nel volume “Shakespeare I Drammi Dialettici curata da Giorgio Melchiori e pubblicata nei Meridiani Mondadori.
Titoli da cui ho tratto altre informazioni e riflessioni:
– Shakespeare. Genesi e Struttura delle opere, di Giorgio Melchiori (Edizioni Laterza)
- Maestre d'amore, di Nadia Fusini, pubblicato da Einaudi.
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