Ci sono libri che letti con superficialità rischiano di essere visti come banali, alquanto noiosi. Perché i lettori tendono a preferire l'azione, le forti emozioni, i grandi cambiamenti e colpi di scena. Eppure, spesso, proprio quelle storie all'apparenza molto semplici, ordinarie, possono racchiudere i messaggi più potenti. Sono letture che continuano a parlare anche dopo giorni, che vorresti rileggere più volte, per delineare meglio quelle sfumature che forse, in un primo momento, non hai colto. Storie di vita in cui possiamo ritrovarci, per pensieri, situazioni, o anche azioni. E credo che Stoner di John Williams sia proprio una di queste.
Piccola premessa: se non avete letto il libro, attenzione a continuare. Perché voglio lasciare scorrere tutti i miei pensieri, e potrei anche rivelare troppo.
Mentre sistemava la stanza, che lentamente cominciava a prendere forma, si rese conto che per molti anni, senza neanche accorgersene, come un segreto di cui vergognarsi, aveva nascosto un'immagine dentro di sé. Un'immagine che sembrava alludere a un luogo, ma che in realtà rappresentava lui. Era dunque se stesso che cercava di definire, via via che sistemava lo studio.
Mentirei se dicessi che sia facile, per me, parlare di questo libro. Sì, la trama è piuttosto semplice e lineare, eppure come spesso accade non mi piace accontentarmi di rimanere in superficie, bensì vorrei scendere in profondità. Non mi sento così brava ad analizzare un testo, a raccogliere tutti i possibili messaggi di una narrazione, e forse anche per questo motivo negli ultimi tempi faccio molta fatica a lasciar scorrere i miei pensieri. Io il libro voglio capirlo a fondo, e cercare di afferrare i motivi per cui spesso avverto delle sensazioni così simili a quelle provate dai protagonisti, da non sentirmi poi così distante dal loro vissuto. È per questo che ci metto molto tempo per scrivere un articolo, e avverto anche tanta frustrazione quando non riesco a farlo in maniera chiara, o perlomeno, nel modo in cui vorrei.
Stoner è il romanzo di una vita di un uomo come tanti, dalla sua infanzia alla sua morte. Niente di più banale, no? No. Non è assolutamente così. Spesso sono proprio le storie delle vite più silenziose a rimanere più impresse.
William Stoner nasce come un umile figlio della terra nel 1891 in una piccola fattoria vicino a Booneville. Sin dalla più tenera età aiuta i suoi genitori nei pesanti lavori dei campi. La sua esistenza sembra essere destinata a seguire le orme di suo padre e di sua madre: due persone piuttosto giovani che, però, a causa della durezza della vita e del lavoro, sono invecchiate di colpo.
Ma qualcosa cambia quando al ragazzo viene offerta la possibilità di studiare alla facoltà di Agraria dell'Università di Columbia, un modo per apprendere nozioni e nuove possibilità per migliorare la terra e il lavoro nei campi.
Stoner diligentemente accetta il volere dei suoi genitori e va a vivere, da principio, presso dei parenti che lo spingeranno anche a compiere diversi lavori, per pagarsi vitto e alloggio e i suoi studi.
Inizialmente vediamo, quindi, un ragazzo che compie una serie di gesti in maniera quasi meccanica, perché così va fatto. Si alza, lavora, va all'università, torna a svolgere mansioni e poi studia ancora. Fa il suo dovere accuratamente, coscienziosamente, senza piacere né pena. Fino a quando durante una lezione di letteratura inglese avviene in lui una rivelazione, che lo porterà a una prima vera e propria scelta personale: cambiare l'indirizzo dei suoi studi, e scegliere la Letteratura, che diventerà per lui una vera e propria passione, una sorta di missione e scopo di vita.
Shakespeare le parla attraverso tre secoli di storia, Mr Stoner. Riesce a sentirlo?
Archer Sloane, il professore di Letteratura Inglese, è il primo vero personaggio importante nella vita di Stoner. Sloane, un giorno, decanta il sonetto 73 di William Shakespeare e chiede proprio al protagonista il significato di quei versi. E lì, che scorge negli occhi del suo studente quella passione che cerca, quella stessa luce che ha lui stesso e tenta di trasmettere ai ragazzi, che sembrano fin troppo superficiali o volti allo studio per un determinato fine e non per vero interesse.
Stoner capisce in quel momento che il suo destino sarà diventare insegnante, ed effettivamente così sarà per tutto il corso della sua esistenza.
Un insegnante mediocre inizialmente, che si limita a propinare la lezione quasi in maniera noiosa, ma poi intuisce il modo giusto: non condividere solo sterili nozioni, ma trasmettere ai suoi studenti quell'amore totale per la letteratura, che lo porterà, almeno per un periodo, ad avere una vera e propria ammirazione nei suoi riguardi, e una sorta di felicità - seppur breve. In quei momenti assistiamo alla sua vera essenza.
La letteratura dunque è il vero focus del libro, quella magia alla quale si aggrappa sempre Stoner, l'unica cosa che forse non lo ha mai veramente tradito. Perché poi, in verità, nella sua strada si troverà davanti a moltissimi ostacoli.
L'amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l'amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio.
Sono due, in particolare, i personaggi che sembrano spezzare quegli attimi di felicità, quella ricerca di se stesso: da un lato sua moglie Edith, ragazza borghese, di cui lui sembra subito innamorarsi, sin dal primo instante che la vede. Ma che in breve tempo si rivelerà forse un primo errore e fallimento. Edith, infatti, dimostra subito un atteggiamento strano: distaccato, infantile, ma anche feroce, e a mio parere a tratti sadico. Sembra scossa da una forte isteria, che la spinge ad avere azioni nocive non solo nei confronti del marito ma anche della figlia. Edith, però, rimane ai miei occhi anche un personaggio nebuloso. Ancora oggi mi domando quali siano i motivi di un simile comportamento. Sicuramente molto è dovuto alla sua infanzia, a una famiglia che non è mai riuscita a insegnarle l'amore; a un'infanzia in cui ha conosciuto un'estrema solitudine, e a delle regole sociali a cui la donna era tenuta a sottostare. Eppure, ci sono stati momenti in cui ho davvero mal sopportato quanto commette, soprattutto nei riguardi del bellissimo rapporto che si era creato tra padre e figlia.
Una guerra non solo uccide qualche migliaio, o qualche centinaio di migliaia di giovani. Uccide anche qualcosa dentro le persone, qualcosa che non si può più recuperare. E quando una persona attraversa molte guerre, ben presto si riduce come un bruto, come quella stessa creatura che noi - lei e io, e tuti quelli come noi - abbiamo sollevato dal fango. [...] Non si dovrebbe chiedere a un uomo di lettere di distruggere ciò che ha passato la vita a costruire.
L'altro personaggio che rovinerà la vita di Stoner in maniera ignobile è sicuramente Hollis Lomax, un suo collega con il quale entrerà in conflitto per colpa di uno studente, suo protetto. Lomax a me ha subito ricordato il deforme Riccardo III di Shakespeare. Effettivamente, anche lui ha un'aspetto similare e grottesco, e il suo atteggiamento sembrerà incarnare anche l'ostilità del personaggio shakespeariano. Tra Lomax e Stoner si crea un attrito insanabile, che li porterà a essere ostili per più di vent'anni. Ma in questo caso ho amato profondamente la scelta di Stoner. Quel suo attenersi all'etica, ma anche a una sorta di principio basato sulla meritocrazia. Non vuole abbassarsi a facili compromessi, anche se questo comporta affrontare poi amare conseguenze. Di contro quel senso di protezione di Lomax per uno studente similmente invalido, l'ho trovato meschino e assurdo. Non puoi mandare avanti uno studente immeritevole, arrogante, e incapace, solo perché ha dei difetti fisici.
In questo romanzo, come nella vita, c'è poi l'Amore, affrontato in diverse sfaccettature.
I due rapporti che restano facilmente impressi sono sicuramente quelli tra Stoner e sua figlia Grace, ma anche quello con la più giovane insegnante Katherine Druscoll, che rappresenteranno dolci primavere nell'inverno della sua esistenza. Seppur brevi parentesi, sono fondamentali per il protagonista, ma possono scatenare un bel mix di emozioni nel lettore: c'è tenerezza, passione, ma anche struggimento e tristezza.
Il rapporto tra padre e figlia l'ho trovato meraviglioso ma anche immensamente triste. Da principio sarà Stoner a svolgere il doppio ruolo di padre e madre verso sua figlia, e con lei instaurerà un legame speciale. I momenti trascorsi nel suo studio, in compagnia dei libri, le loro risate... mi sembrava di vederli, di udirli durante la lettura. Ma tutto ciò si spezza e in questo caso non ho davvero compreso l'atteggiamento di Stoner. Qui, forse, è l'unico vero momento in cui avrei voluto scuoterlo, in cui avrei tanto voluto che reagisse in maniera diversa. Anzi, che avesse una vera e propria reazione, e non fermarsi a osservare lo scorrere degli eventi.
A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che gli altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l'amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un'altra.
Dall'altro lato c'è forse il vero amore. Katherine entra nella sua vita in maniera silenziosa, eppure rappresenterà per Stoner il modo per comprendere davvero cosa sia l'amore e per conoscere se stesso. Uniti dai sensi ma anche dalla mente, con passioni simili, riescono ad arricchirsi l'uno con l'altra. Qui però capisco la scelta di Stoner. Quel che accadrà. Perché scappare potrebbe rappresentare per loro un modo per perdersi, smarrirsi, per non essere più se stessi, e forse sarebbe stato anche peggio.
Ma c'è anche l'amicizia.
Stoner in verità avrà solo due amici, in tutta la sua vita, di cui uno perso troppo presto durante la Prima Guerra Mondiale, ma le cui parole lo accompagneranno sempre. In effetti, secondo me è proprio David Masters - l'amico morto - che inquadrerà bene l'essenza del protagonista di questa storia.
Anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente [...] Ma in te c'è il segno dell'antica malattia. Tu credi che ci sia qualcosa qui, che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti a terra a chiederti cos'è andato storto.
Stoner è un sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui.
Nella lettura mi sono ritrovata a riflettere molto su questo e la penso così anche io: Stoner è davvero un sognatore, che ha una passione forte per la letteratura, nella quale si rifugia con tutto se stesso, quasi estraniandosi da una realtà assurda, fatta di regole troppo rigide che quasi spingono le persone a essere tutti individui uguali senza una vera e propria scintilla di vita, o spazzati via da guerre inutili. Una società fatta di compromessi e ipocrisia, dove a prevalere non è tanto la meritocrazia, quanto gli aiuti, le protezioni, le spinte. Dove l'amore fuori dall'ordinario rischia solo di scatenare scandalo. Ma anche un mondo difficile da combattere, davanti al quale è complicato reagire e si rischia di essere masticati e sputati via.
Allo stesso tempo, però, mi sono ritrovata a chiedermi quanto sia vera la passività di Stoner. In dei momenti sì, sembra davvero chiudersi nel suo spazio in penombra e non reagire - soprattutto nei riguardi di sua moglie, nel rapporto con sua figlia -, ma allo stesso tempo fa anche delle scelte molto importanti, seguendo quello in cui crede fermamente, anche a costo di allontanarsi dalla sua famiglia, dal suo passato, divenendo un estraneo agli occhi dei genitori, o rischiando nel suo lavoro spiacevoli conseguenze. Stoner sceglie di seguire un indirizzo di studi diversi da quello che gli era stato imposto; sceglie di amare le due donne della sua vita, nonostante tutto; sceglie di non promuovere un ragazzo che non ritiene meritevole. Insomma, sì, forse come la pietra resta immobile quasi sempre nello stesso posto, senza allontanarsi dall'università, ma allo stesso tempo resta fedelmente ancorato anche alla sua passione verso la letteratura che lo fa sentire vivo, e il cui amore vorrebbe trasferire anche ai suoi studenti.
O almeno, io tra queste pagine ci ho visto tutto questo.
Un'altra particolarità che mi ha molto colpita è anche l'uso dei nomi: William Stoner sembra perdere ben presto il suo nome. Tutti lo chiamano solo Stoner, ma ci sono delle eccezioni. Ad esempio, sua moglie gli assegna ben presto il forse infantile Willy; mentre le persone che veramente lo ameranno o con le quali avrà un rapporto davvero importante, si rivolgono a lui come Bill. Un nome, sicuramente, più affettuoso e intimo.
Era arrivato a un'età in cui, con intensità crescente, gli si presentava sempre la stessa domanda, di una semplicità così disarmante che non aveva gli strumenti per affrontarla. Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini.
Stoner di John Williams è un libro che ho davvero apprezzato e letto con piacere, sia per il bellissimo stile - ci sono immagini veramente meravigliose, per non parlare del commovente finale - sia per il protagonista in sé. Un uomo come tanti, con i suoi amori e i suoi errori. Una vita solo all'apparenza insignificante, nella quale forse in qualche modo possiamo ritrovarci. Io, ad esempio, come lui non ho grandi ambizioni, non riuscirei a vedermi in ruoli di prestigio o troppa responsabilità, e spesso mi rifugio proprio nella letteratura per estraniarmi dal mondo, per ritrovare me stessa. Ma, a differenza di lui, che in quell'università ha trovato il suo posto nel mondo, io lo sto ancora cercando. E forse, ancor peggio, sono davvero io a vedere il mondo fuori andare avanti, mentre io resto indietro. Soprattutto perché non riesco a integrarmi in questa società che pretende troppo, nella quale non riesco a identificarmi, in cui arranco con fatica. E allora troppo spesso sovviene la domanda: sto davvero vivendo una vita degna di essere vissuta, o limitandomi a sopravvivere? Come far emergere la vera me?
Anche riguardo alle relazioni ho, in verità, altri principi. Ma è un argomento su cui non voglio dilungarmi.
Forse è proprio quando si narra della vita così com'è, con le gioie e i dolori, i successi e i fallimenti, i sogni e le delusioni, che quel libro resta davvero indelebile nel cuore del lettore. E Williams riesce a farlo con estrema abilità, regalandoci una storia intima, struggente, difficile da dimenticare.
Un romanzo sicuramente da leggere, se non lo avete ancora fatto.
Bisogna innamorarsi, per capire un po' come si è fatti.