Ieri volevo condividere un articolo in occasione della Giornata Internazionale dei diritti della Donna, ma ammetto di non esserci riuscita perché completamente assorbita dalla lettura dell'ultimo capitolo dell'Amica Geniale. Pensandoci, però, credo che sia importante anche in questo caso non ridurre tutto a un unico giorno. Nel mio blog ho sempre parlato di donne: donne scrittrici, o vere protagoniste di romanzi e saggi, e continuerò a farlo sempre. Ho comunque contribuito a consigliare qualche titolo per lo speciale di Let's Book che vi invito a scoprire!
Tra (i pochi) aspetti positivi del bookstagram c'è la possibilità di scoprire titoli che magari ti sono sfuggiti: uno di questi è Le disobbedienti di Elisabetta Rasy, che ho trovato proprio scorrendo le pagine di lettrici che seguo. Ne sono subito rimasta attratta, perché amo molto l'arte.
Ma partiamo da una domanda: quante Artiste avete studiato a scuola o all'università? Poco e niente, vero? Be', questo potrebbe essere un libro interessante per iniziare a scoprire - e successivamente approfondire - donne dell'arte di cui sappiamo poco e niente, e che invece hanno contribuito a cambiare l'arte, a lasciare un'impronta indelebile nella storia.
Le donne di cui scrivo sono diverse tra loro per epoca, situazione familiare, carattere. [...] Ma c'è qualcosa di essenziale che le accomuna: il talento e la voglia di non piegarsi alle regole del gioco imposte dalla società del loro tempo. Fragili ma indomabili, hanno saputo difendersi con tenacia dalle aggressioni della vita. Dalla violenza maschile, come Artemisia Gentileschi, stuprata da un amico del padre. Dalle avversità dei tempi, come Élisabeth Vigée Le Brun, esiliata dalla Rivoluzione francese. Dalla ferocia della storia, come Charlotte Salomon in fuga dai nazisti. Dai tormenti della malattia, come Frida Kahlo. Dalla gabbia dei pregiudizi, come Suzanne Valadon e la stessa Berthe Morisot.
Lo ammetto. Di Artiste donne so veramente poco. Solo dopo gli studi ho iniziato ad approfondire la figura di Artemisia Gentileschi, della cui arte e forza mi sono subito innamorata, e conoscevo a grandi linee la vita e l'arte di Frida Kahlo. Ma per il resto? Poco e nulla. Ed è per questo che la cultura, la lettura, la curiosità arrivano in aiuto: leggere, assistere a mostre o, più semplicemente, fare una ricerca sui motori di ricerca può aiutare a riempire i vuoti, e scoprire la scia che anche le donne hanno lasciato nel mondo dell'arte. Credo che se si ponesse una domanda su quali artisti si conoscono, le risposte più rapide sarebbero quasi tutte inerenti nomi maschili: Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Van Gogh, Picasso, ecc. ecc. Non siete d'accordo? E tra le donne, forse, potrebbero essere citate anche Artemisia (che son felice sia sempre più conosciuta) e Frida. Ma poi? Sia chiaro, mi piacerebbe molto credere di sbagliare in questo mio pensiero, ma io stessa, fino a qualche anno fa, avrei comunque dato una risposta simile.
Però, poi, subentra la curiosità. Ecco, io vi invito a essere sempre curiosi, a scoprire di più, a non fermarsi a cose già note.
Sul mondo dell'arte un primo importante approccio potrebbe essere proprio questo libro, in cui Elisabetta Rasy delinea i ritratti di sei donne che hanno cambiato l'arte.
Donne appartenenti a contesti sociali ed epoche diverse, ma legate dalla medesima forza e tenacia per realizzare i propri sogni, lottando contro la violenza, la ferocia della guerra, la malattia, ma anche i pregiudizi di una società patriarcale e maschilista, in cui le donne dovevano limitarsi al ruolo di madri e mogli.
Il coraggio di Artemisia Gentileschi.
...né la violenza cui è sottoposto il suo corpo né la ferocia delle parole che le vengono rivolte piegano la forza di quella diciottenne, la sua energica capacità di disobbedire a ciò che il mondo pretende da lei, cioè pentimento, sottomissione, subalternità. Artemisia non cede.
Artemisia, cara Artemisia.
Chi mi segue da un po' sa del mio amore per quest'artista. Insieme a Caravaggio - al quale molto si è ispirata - credo che finora sia l'artista che più mi ha colpita.
Artemisia la Pittora.
Sin da bambina era chiaro il suo talento: l'unica tra i diversi figli di Orazio Gentileschi a raccogliere il suo lavoro, a respirare l'arte. E neanche davanti alla violenza fisica, alla tortura, Artemisia cede. Non si sottomette mai, ma dimostra un coraggio unico. Artemisia la puttana: è questo il modo in cui viene etichettata nella Roma della sua epoca. Una società misogina e maschilista, dove la colpa ricade sulle donne che seducono gli uomini. Ma Artemisia non ci sta. E nonostante tutto si risolleva, lavora costantemente per costruire il suo futuro, per dimostrare il suo talento, con passione, coraggio, forza, amore e mostrando la Verità nelle sue opere. La pittora, come ama definirsi, si ritrae spesso nelle sue opere: sia negli autoritratti, sia in molte delle figure bibliche che va a rappresentare. Artemisia lotta, ama, perde tanto, ma non si abbassa mai al dominio degli uomini. Anzi, sarà anche la prima donna a essere ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.
La tenacia di Élisabeth Vigée Le Brun
Élisabeth ha imparato molto presto che la fortuna bisogna sfidarla, e stanarla, prima che ci volti le spalle. Sa che la sua fortuna dovrà costruirsela da sé, combattendo non solo contro le difficoltà che incontrano le donne sole e non protette, ma anche contro quelle molto più ardue in agguato per le donne sole che vogliono farsi artiste. Dirà molti anni dopo: «Dipingere e vivere sono sempre state una stessa parola per me».
Avete presenti i meravigliosi quadri di Maria Antonietta? Ebbene, sì, sono il frutto del lavoro di Élisabeth Vigée Le Brun che riuscì ad assumere a soli 23 anni il ruolo di Pittrice ufficiale della Regina di Francia. Tra le due s'instaurò anche una bellissima amicizia.
Élisabeth apparteneva alla borghesia, ed ebbe un rapporto molto profondo - ma purtroppo breve, in quanto l'uomo morì ben presto - con suo padre Louis Vigée anche lui artista. Un legame che non solo si può vedere nel suo cognome, che la donna al momento del matrimonio con Jean-Baptiste-Pierre Le Brun, contro tutto e tutti, decise di mantenere, ma anche perché decise di far sue sia l'arte del padre, sia quella douceur de vivre, la dolcezza della vita, che lei vedeva incarnata in quell'Ancien Régime a cui rimase sempre fedele.
Il suo talento emerge sin dall'adolescenza, e con impegno e tenacia riuscì ad essere ammessa all'Académie Royale de Peinture et Sculpture.
Secondo il marito, Élisabeth “sapeva cogliere la bellezza anche dove non era facile trovarla e aggiungere fascino al fascino”.
Divenire la pittrice ufficiale di Maria Antonietta però rappresentò una condanna per lei con lo scoppio della Rivoluzione Francese. Fu costretta a fuggire con sua figlia, fingendo di andare a compiere un Grand Tour in Italia, ma poi prosegui il suo viaggio e le sue opere presso le corti di Vienna, Londra e San Pietroburgo. Fino a quando non riuscì a tornare in Francia.
“L'amore per il padre l'aveva consacrata per sempre alla pittura, a quel furore di dipingere che l'ha accompagnata fino agli ultimi giorni”.
L'irrequietezza di Berthe Morisot
Le donne di Berthe non hanno solo un corpo o degli abiti che allettano i desideri e la pittura degli uomini, hanno un mondo interiore molto spesso dominato dalla malinconia, sono portatrici di una intimità differente che solo lo sguardo lascia trapelare. Come se un qualche fuoco interiore bruciasse, senza poter essere espresso.
Di Berthe Morisot devo ammettere la mia ignoranza o forse una dimenticanza. Quando penso all'Impressionismo subito mi vengono in mente, anche in questo caso, pittori maschi: come Manet, Monet, Renoir, Cézanne, Degas, solo per fare alcuni esempi. Ma in mezzo a questi uomini, c'era anche una donna: Berthe Morisot, appunto.
Anche in lei, sin dall'infanzia si nota la ribellione, la voglia di disobbedire a regole imposte, a un matrimonio che la madre vorrebbe per tutte e tre le sue figlie. E se nel caso delle sue sorelle ciò accade, Berthe dovrà attendere parecchio prima di farlo. Lei vuole vivere della sua arte, non metterla da parte per divenire madre e moglie. Da modella per Édouard Manet, con il quale avrà un legame particolare, divenne lei stessa pittrice, e una dei fondatori del collettivo di artisti impressionisti. Nei suoi dipinti c'è un'attenzione particolare per le donne, per la loro intimità femminile e interiorità. Figure femminili familiari che appartengono al silenzioso mondo privato, cogliendo anche le tante sfumature della malinconia femminile.
Realizza una sorta di “diario femminile” espresso sulla tela tramite il colore e il disegno.
La ribellione di Suzanne Valadon
Deve uscire dal quadro e scendere dalla tela, un piccolo passo da un pianeta a un altro, infrangendo quella speciale forza di gravità che inchiodava le modelle in un'eterna posa per l'artista di turno. Lei non vuole più essere la modella, vuole essere l'artista, semmai vuole essere la modella di se stessa.
Nata Marie-Clémentine Valadon, visse sin da bambina - con sua madre - nel quartiere di Montmartre. Bimba ribelle, fece diversi lavori, diventando poi modella di numerosi artisti dell'epoca (fine 1800): da Renoir, a Puvis de Chavannes, ma anche Toulouse Lautrec. Quest'ultimo in particolare la battezza nel nome dell'arte, intuendone il talento d'artista e donandole il nome Suzanne, che poi farò suo. La terribile Maria, come la chiamava Degas - il quale la riconobbe come artista e acquistò un suo disegno -, divenne ben presto un'artista autodidatta che vuole dipingere la donna moderna. Una donna nuda non solo degli abiti, ma anche denudata dello sguardo con cui il mondo maschile l'ha rappresentata.
«Suzanne vuole dipingere la nuda verità femminile: la donna com'è davvero, come la vede un'altra donna, senza l'idealizzazione e senza la bramosia dello sguardo maschile».
Madre di Maurice Utrillo, che cercherà di salvare dall'alcol e da una malattia mentale proprio attraverso l'arte (anche lui diverrà artista), avrà infine una relazione importante con il ben più giovane André Utter. I tre saranno conosciuti come il Trio Infernale.
La resistenza di Charlotte Salomon
La storia di Charlotte e la sua opera vanno ad affiancarsi a quella di due ragazze che, come lei, prima di essere strappate alla vita hanno lasciato una traccia incancellabile della loro esistenza in diari scritti contro tutto e tutti: Anna Frank, la figlia di Otto, morta dopo la deportazione nel campo di Bergen-Belsen nel febbraio del 1945, ed Etti Hillesum, uccisa ad Auschwitz nel novembre 1943. Come i loro diari, l'eredità di Charlotte è una testimonianza dell'orrore dei tempi e insieme l'espressione del talento e dell'ingegno umano contro la morte.
Di Charlotte Salomon avevo già letto nel volume Non esistono piccole donne di Johannes Bückler. È una delle storie che più mi ha colpito, forse anche per il tema, la resistenza, ma anche l'orrore della Storia che spazza via vite, anche se la loro arte, la loro voce, è arrivata fino a noi. Come Anne Frank, come Etty Hillesum, anche Charlotte Salomon, nell'ultimo anno della sua vita, ci ha lasciato un'opera fatta di disegni, parole e musica, per raccontare la sua vita, per resistere a suo modo contro l'orrore nazista da un lato, ma anche contro una disperazione privata. La sua giovane vita fu, infatti, scossa da diversi suicidi: quello di sua zia, di sua madre (quando era ancora piccola) e di sua nonna in seguito. E vista la terribile situazione sotto il regime Nazista, anche a lei si presentava una duplice scelta: togliersi la vita o intraprendere “qualcosa di davvero totalmente folle”. Charlotte decide di resistere; di continuare a dedicarsi a quell'arte in cui è brava, ai suoi disegni, creando un diario del passato (Vita? o Teatro?) inserendo attraverso nomi fittizi, la sua vita, le persone care, e il suo amore per il più anziano Alfred Wolfsohn.
L'arte diventa quindi un modo per salvare la vita malgrado la violenza, l'umiliazione e la morte.
Charlotte fu anche l'unica ebrea a essere stata ammessa all'Accademia delle Belle Arti di Berlino.
Charlotte morirà, incinta, ad Auschwitz; ma l'eco della sua arte è arrivata fino a noi. Per questo, ancor di più, diventa importante non dimenticare l'arte delle donne.
La passione di Frida Kahlo
Tutto il mondo pittorico di sua moglie sarà invece rivolto all'interno degli esseri umani, il folclore dei suoi quadri, gli scheletri, le maschere, i travestimenti della morte non saranno altro che un modo per raccontare l'agitato continente sommerso che ogni uomo, ma soprattutto ogni donna, racchiude in sé. Frida sarà definita surrealista, ma lei vuole raccontare la realtà interiore, quell'altrove così importante che agita la vita e che gli individui si ostinano a non vedere.
Di Frida Kahlo mi ha sempre colpito molto la sua forza, la sua passione non solo per l'arte e ma anche per la vita. A seguito di un terribile incidente, infatti, la sua vita sarà segnata per sempre. Tanti i traumi, altrettante le operazioni. Se qualcun altro potrebbe lasciarsi andare a tutto quel dolore - Frida, ad esempio non riuscirà mai a portare a termine le sue gravidanze, anche a causa di questo -, lei nel periodo in cui è costretta a letto trova una nuova passione, una via di uscita dal dolore: l'arte e la pittura. Quando esce dall'ospedale il suo corpo è cambiato, ma la sua voglia di vivere e la volontà di non arrendersi alle offese della vita sono inattaccabili.
Il matrimonio - passionale e turbolento - con Diego Rivera rappresenta per lei una resurrezione, l'inizio di una nuova vita.
Sì, la passione è sicuramente la parola giusta per descriverla: nella sua vita, nell'arte, nel suo amore per Rivera.
La variopinta surrealista dell'arte messicana ha lasciato una traccia profonda. Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato è uno dei fondamenti della sua arte e dei suoi quadri, ma ha toccato anche il tema della maternità: desiderata, sognata, sanguinosa e impossibile.
In questo articolo c'è solo un riassunto delle vite di queste meravigliose artiste, ma nel libro c'è molto di più. Personalmente sono rimasta molto colpita - tralasciando Artemisia che adoro da tempo - dall'arte di Berthe Morisot e Élisabeth Vigée Le Brun - e nel cuore è rimasta la storia di Charlotte Salomon.
A mio avviso è un primo volume da cui partire per iniziare a conoscere un po' l'arte femminile, spesso lasciata da parte rispetto ai colleghi uomini. Mi è piaciuto molto, anche se ho trovato in alcuni casi troppe ripetizioni di concetti già espressi. Ma nulla di grave, che non rovina la lettura.
L'unico consiglio? Tenete sempre con voi un computer o il cellulare, così da osservare le varie opere che vengono citate o descritte, approfondire meglio le parole lette, e restare ammaliati dal talento, dalla passione, dalla forza, resistenza e ribellione di queste donne, che nonostante tutte hanno lottato per i propri sogni, anche in contesti non facili.