Nel dicembre del 2020, osservando le offerte ebook di Amazon, mi sono soffermata subito su questo titolo: se parla di Artemisia Gentileschi, chi sono io per non acquistarlo? E così ho fatto. Come sovente accade, però, il libro è rimasto lì fino a pochi giorni fa. Seguendo un progetto su Instagram ho deciso di recuperarlo, leggendo di arte, di pittura, ma soprattutto tornando ancora una volta su una pittora che amo particolarmente.
Giorgio Montanari nel suo volume “Le stanze segrete del cuore” cerca di trasmettere la vita e l'amore per l'arte di Artemisia, con tutte le gioie e i dolori, le difficoltà e i successi, ma andando a scavare anche oltre, nel suo animo, di figlia, moglie, madre e donna.
Avevo già letto due libri su di lei, e altri ancora ne leggerò. Posso già dire di aver trovato questa lettura molto piacevole.
Colore e impasto le rubarono l'anima. Lottò con le unghie, da sola, per essere pittora e servì tutti li Maggiori Potentati d'Europa. Conobbe cavalieri, cardinali, viceré, principi, granduchi, re e imperatori ma a un uomo solo donò il suo cuore.
Artemisia Gentileschi mi ha sempre incantata, non solo con la sua splendida arte, quei dipinti che arrivano con potenza al tuo cuore, ma anche e soprattutto per la sua forza, per il suo coraggio, per la voglia di seguire i suoi sogni, anche quando tutto il mondo sembra andarle contro. Artemisia, sin da bambina, cresce in mezzo ai colori, ma anche con una consapevolezza: la donna deve occuparsi della casa e stare un passo indietro all'uomo. A lei non è permesso di fare arte. Eppure, suo padre, il pittore Orazio Gentileschi, decide di farsi aiutare da lei - sempre al riparo tra le pareti della casa e del laboratorio - scorgendo in quella bambina un talento assente nei fratelli. La giovane ha la possibilità di conoscere vari artisti, anche il grande Caravaggio, e le sue capacità vengono ben presto fuori. Alla morte della madre, però, sta anche a lei occuparsi della casa e dei fratelli. Eppure, lei sa benissimo quello che vuole: diventare pittora, e non ridursi al semplice ruolo di moglie e madre.
Nella sua vita però arriva anche l'abuso e la sofferenza. Vittima di violenza da parte del pittore Agostino Tassi, che girava liberamente nella casa dei Gentileschi, è costretta a subire anche la tortura della Sibilla, rischiando di perdere l'uso di quelle mani che le servono per dipingere, per trasmettere su tela i sentimenti che sente dentro. Anche se lo stupro viene riconosciuto, a rimetterci è proprio lei. Non basta essere stata violata; per tutta Roma, la sua città, tutti ne parlano, marchiata a fuoco, come se fosse solo sua la colpa.
Per trovare la luce ho dovuto attraversare la più fitta oscurità. Dalle tenebre ho tratto la fiamma dei colori. Il rosso sulla tela è sangue mio. Sotto i colpi della sorte avversa ho cominciato presto a sanguinare ma non mi sono arresa e ho preso in mano il mio destino senza chinare il capo sotto il peso del castigo. Non ho mai arretrato di un sol passo.
Per allontanarla da una simile situazione, il padre la fa sposare con un altro artista - mediocre - Pierantonio Stiattesi e i due, in breve tempo, si trasferiscono a Firenze, culla della cultura e dell'arte. È qui che la stella di Artemisia s'illumina. Introdotta alla corte di Cosimo II, intesse vari legami, soprattutto con Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti, nipote del famoso Artista. E fu anche la prima donna a ottenere il privilegio di accedere all'Accademia delle Arti del Disegno.
A seguito di numerosi debiti, contratti anche a causa del marito, al deteriorarsi dei rapporti con Cosimo II, e allo scandalo per la sua relazione clandestina con il nobiluomo fiorentino Francesco Maria Maringhi, i due tornano a Roma. Ma la pittora non si ferma a queste città.
La sua luce e la sua arte la conducono a Venezia - interessante è il capitolo in cui Montanari descrive la Pittrice e altre donne dell'epoca, all'Accademia degli Incogniti, e i loro discorsi sulle donne -, a Napoli, raggiungendo anche suo padre a Londra.
Un pennello vecchio, uno straccio sporco, due croste di colore quasi secco dimenticato sulla tavolozza, se hai cuore e forza possono diventare un grido, una tela di accecante bellezza.
Ma Artemisia era anche una donna e una madre.
In questo romanzo, Giorgio Montanari ci permette di accedere anche alle stanze segrete del cuore della donna.
Artemisia è una madre che nel corso di pochi anni perde quasi tutti i suoi figli. Straziante è la descrizione che ne fa, la difficoltà nel riprendere in mano un pennello, il vuoto che sente dentro, il suo grido a quel Dio che sembra voltarsi sempre dall'altra parte.
Artemisia è anche una donna costretta a sposare un uomo che non ama, e che la tratta con freddezza. Allo stesso tempo vuole seguire il cuore: ama un altro uomo, e per lui si strugge. Si lascia scivolare addosso le parole degli altri, va avanti seguendo la voce della sua anima: scegliendo chi ama, e coltivando la sua arte.
Nel tratteggiare questa sorta di biografia romanzata, l'autore riporta anche diversi brani di lettere scritte da Artemisia, ma anche da suo marito Pierantonio Stiattesi, dal nobiluomo fiorentino Francesco Maria Maringhi, e da altri amici e committenti. Personalmente, ho notato la ricerca storica ma anche artistica. Numerosi sono i quadri citati, con alcune curiosità, che ti fanno venir voglia di andare a cercarli, osservarli con maggior cura e attenzione.
È una lettura molto scorrevole e piacevole, mi è piaciuta, se non fosse - a mio avviso - per alcune ripetizioni di situazioni e riflessioni dei personaggi che alla lunga forse rischiano di risultare un po' pesanti. Dal mio punto di vista, non ho molto gradito la presenza eccessiva della “voce” di Caravaggio (seppur sia l'altro Artista che amo alla follia). Sì, sicuramente da bambina ha avuto modo di conoscerlo e il suo stile s'ispira a quello del famoso Artista (di cui Orazio era amico), ma successivamente questa sorta di “voce della coscienza”, spesso delusa dalla strada artistica presa dalla protagonista, che si allontana dal vero per far soldi, non mi ha convinto molto. Ma in questo caso, si tratta di una questione puramente soggettiva.
Se vuoi essere pittore devi essere capace di piangere, avere qualcosa da raccontare, la vita, il sangue, col cuore in mano.
Amore. Dolore. Colore.
Tra queste pagine risuonano queste parole.
E ci viene donato il ritratto di quella donna forte e indipendente, che ben presto diventa padrona del suo destino: abusata, allontanata, costretta a sposare un uomo che non ama, si è comunque rialzata, mostrando al mondo seicentesco il talento di una pittora - come amava definirsi - capace di colpire gran parte dei facoltosi committenti dell'epoca. La sua sublime arte è caratterizzata da donne forti - in cui spesso si rappresenta -, messaggi potenti, la Verità e il grido di un'anima ferita che si riversa sulla tela. Una donna che ha amato, ha sofferto profondamente, ma è riuscita anche a emergere in un mondo maschilista che voleva le donne chiuse tra quattro mura, e sempre un passo indietro rispetto agli uomini.
Ad Artemisia tutto scivolava addosso. Aveva questo di bello, guardava sempre avanti e si buttava il rumore delle voci dietro le spalle. Pensava solo con la sua testa. Le chiacchiere sul suo conto non le facevano più né caldo né freddo, anzi, così ragionava: «Chi sparla di me vorrebbe essere al mio posto. Colpisco nel segno. Io sono io. Il passato è passato e non ci puoi fare niente. A dar retta agli invidiosi oggi non sarei qui e non sarei Artemisia».