Novembre con... Luigi Pirandello
Manca solo il mese e questo mio progetto sarà giunto al termine. Se mi guardo indietro da un lato sono orgogliosa e felice di averlo ideato e portato a termine (be', quasi, manca l'ultima tappa), dall'altro un po' resta quella sorta di dispiacere nell'aver visto tanta acclamazione su Instagram per poi seguirlo veramente poco e niente. Però va così, e ormai ho capito che è inutile rimanerci male in quel social. O hai un determinato carattere, o se certe scelte non fanno parte di te, basta. Vai avanti per la tua strada, e continua ad arricchire quella valigia ricca di sogni, Marta.
Riflessioni a parte, questo mese ho voluto dedicarlo a un autore che avremo sicuramente tutti studiato a scuola o visto le opere a teatro. Io ricordo di averlo fatto, però ho un grandissimo difetto: la mia memoria è breve, e molte cose del passato - soprattutto relative allo studio - sono un po' svanite. Proprio per questo avevo voglia di riscoprire Luigi Pirandello, per comprendere, ormai adulta, cosa ne penso ora.
Ho, dunque, letto una delle sue opere più famose, “Uno, nessuno e centomila”, e una breve novella - “Effetti di un sogno interrotto” - di cui, magari, vi accenno solo brevemente nella parte finale di questo mio articolo.
Quando mi ponevo davanti a uno specchio, avveniva come un arresto in me; ogni spontaneità era finita, ogni mio gesto appariva a me stesso fittizio o rifatto.
Io non potevo vedermi vivere.
Vitangelo Moscarda, protagonista di questo romanzo, aveva sempre ritenuto il suo naso, se non proprio bello, almeno molto decente. Almeno fino ai ventotto anni. Un giorno, infatti, sua moglie gli fa notare di avere il naso che pende a destra. Questo piccolo difetto, questa minuzia che potrebbe far semplicemente sorridere, diventa la scintilla per accendere una serie di pensieri su se stesso e sul modo in cui ci vedono gli altri. Oltre a ciò, comprende di aver vissuto in una sorta di illusione: Vitangelo, infatti, capisce di essere il figlio non di un banchiere ma di un usuraio e di riflesso anche lui appare così allo sguardo delle persone, avendo ereditato il mestiere dal padre, che però non sa svolgere delegandolo ad altri sottoposti.
Inizia così il suo male, una vera e propria disgregazione dell'io, che pian piano, attraverso una serie di nuove consapevolezze, lo porta ad assumere comportamenti diversi, che agli occhi degli altri appaiono bizzarri, simili a quelli di un pazzo. Perché Vitangelo non si comporta più come vuole la società, come le persone che lo conoscono si aspettano. Questa riflessione sul senso dell'esistenza, su chi siamo veramente, diventa una sorta di ossessione per lui, che vorrebbe far aprire gli occhi anche agli altri, e distruggere le tante immagini - false maschere - che loro hanno creato di lui e nel quale lui non vuole e non riesce a riconoscersi. Ma una volta che una maschera si distrugge, un'altra prende il suo posto, in un ciclo che sembra non avere fine, in una vita in costante evoluzione. Se non è più la marionetta nelle mani della moglie, o l'usuraio inetto nel suo lavoro, può divenire un pazzo, o un adultero. Ma chi è veramente lui?
Vitangelo Moscarda comprende di non essere un individuo unico, uno, ma ogni persona che lo osserva, che lo conosce, ha una diversa visione di lui (centomila) ed è per questo che avverte come la sensazione di essere nulla, e alla fine decide di accettare di essere nessuno, rinunciando anche al suo nome, non più intrappolato in una forma, e abbandonandosi al flusso delle vita.
Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci, non ci siamo intesi affatto.
Siamo di fronte a un monologo - umoristico - in cui il protagonista si rivolge anche a noi lettori, portandoci a comprendere le sue riflessioni, le sue idee, quella costante voglia di annullare i centomila sé, ma che lo conduce però a una completa solitudine e perdita di sé e alla caduta inesorabile nella follia. Perché questa o il suicidio sembrano essere le uniche soluzioni.
Questa lettura per me non è stata così facile come immaginavo, son sincera. Forse anche e soprattutto per lo stile spezzettato e ripetitivo che ho trovato a tratti, purtroppo, un po' pesante. È un libro breve sì, ma è anche una di quelle letture che richiede tempo.
Se da un lato apre a riflessioni interessanti su noi stessi e sul senso dell'esistenza, dall'altro ho avuto un po' di difficoltà ad andare avanti, così come ora, a cercare di esporre i miei pensieri, sperando di non cadere in errore. Approcciarsi a un autore così noto e studiato, infatti, è complesso. Ma sono anche dell'idea, ancora una volta, che la bellezza della lettura stia anche nel riuscire a lasciare andare, poi, i nostri pensieri, senza per forza di cose fare il compitino giusto. Quindi, oh esperti di Pirandello, se qualcosa non vi convince in ciò che scrivo, non lapidatemi! (Ah, ah, ah!).
Le tematiche di fondo sono sicuramente molto interessanti: la disgregazione dell'io, la maschera, la follia.
Chi siamo veramente noi?
È una domanda alla quale forse nessuno riesce a dare una risposta. Pensiamo di essere in un certo modo, ma poi, se ci soffermassimo ad ascoltare i pensieri degli altri, vedremmo altre sfaccettature, altre visioni, magari frutto di una costruzione ben precisa che hanno creato e che, molte volte non corrisponde all'idea che noi vogliamo dare.
Crescere in una determinata famiglia che non sei tu a scegliere, o in una società con le sue regole, ti porta anche molto spesso a dover fingere di essere ciò che non si è veramente. Perché gli altri si aspettano un determinato atteggiamento, o perché tu hai voglia di mostrarti in un certo modo - magari perché hai paura di non essere compreso -, a volte dando una determinata sfumatura - o maschera - di te, anche a discapito della propria autenticità.
Ma se si va ad aprire uno squarcio in quella forma ben definita, a strappare fuori dai bordi, che cosa accade?
Che cosa mi ha lasciato questa lettura? Un po' di confusione e amarezza, ma anche una conferma di quel che in fondo tutti sapevamo già.
Mi sono soffermata spesso a pensare a come possano vedermi gli altri, e a volte l'immagine che hanno disegnato mi ha ferita. Perché so di non essere in un determinato modo, ma allo stesso tempo, guardandomi allo specchio, torna sempre quella frase: chi sono veramente io? Quante me esistono? A volte, forse è meglio non rifletterci troppo, per non crollare, per non veder sgretolare in troppi piccoli pezzi il nostro io. Ci sono anche determinati contesti in cui sono io stessa che non voglio mostrare alcuni aspetti della mia “vera” personalità, forse per proteggere le mie debolezze e fragilità. A volte ti senti così incompreso, o incastrato in una forma ben definita che non ti appartiene, che vorresti reagire, spaccare gli argini, rompere quella maschera, arrivare alla tua vera essenza. Essere e non apparire. Ma quanto è difficile anche nella nostra attualità mostrare la propria autenticità in un mondo che ti vuole in un certo modo o ti ancora a determinate etichette?
Il mondo è un palcoscenico, lo dice anche Shakespeare. Una realtà dove sei costretto, molto spesso, a indossare varie maschere, a volte quasi con forza in altri contesti magari per convenienza. O semplicemente per l'idea che gli altri hanno di te, e che appare molto spesso sbagliata, lontana da quello che senti di essere. Tante personalità che alla fine ti fanno sentire nessuno, anziché un individuo ben definito.
Io comunque anche nel finale ho provato un senso di profonda amarezza, lo ammetto. Non so se queste riflessioni abbiano un vero e proprio senso. Lo spero.
Sicuramente più avanti affronterò anche la lettura de Il fu Mattia Pascal, ma per ora con Pirandello mi fermo qui.
Effetti d'un sogno interrotto è una novella molto interessante che si legge in brevissimo tempo, un racconto onirico che ha anche sfumature sovrannaturali. È stata pubblicata sul Corriere della Sera il giorno prima della morte dell'autore. Ha al centro un quadro, di una Maddalena penitente, che sembra essere il ritratto della moglie di un uomo. Quest'ultimo chiede al proprietario di poterlo acquistare, ma davanti al rifiuto, si scatena in lui una sorta di gelosia morbosa. L'aspetto più fantasioso avviene proprio durante un sogno del proprietario del quadro, che viene improvvisamente interrotto dal rumore di alcuni gatti, e che lascia in lui una strana sensazione: quello che vede è ancora frutto di un sogno, o è un'angosciosa realtà? O forse solo un'allucinazione dovuta a un atteggiamento che lo ha turbato?
È un breve racconto che mi ha colpita, e che potete trovare anche gratuitamente sul sito di Caravaggio Editore o sugli store online.