Mai tornerò indietro, di Melody Ermachild Chavis

23 ott 2021

Libri

Dopo l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001, avevo iniziato a leggere qualche libro sull'Afghanistan, soffermandomi soprattutto sui lavori di Hosseini - che vi consiglio con tutto il cuore di recuperare -. Poi con il tempo mi sono un po' fermata, ma questo desiderio è tornato con forza alla fine di questa estate, visti i recenti, terribili fatti, che stanno di nuovo sconvolgendo quella splendida terra. Nel vedere gli Occidentali andare via, lasciando di nuovo tutto nelle orribili mani dei Talebani, mi si è stretto il cuore. Ho provato e provo ancora rabbia e tristezza. Venti anni. Venti anni di nulla? A cosa è servita questa guerra? A cosa sono servite le tante morti? Perché fingere di aiutarli per poi gettarli di nuovo in un tale regime di terrore? Si poteva fare diversamente? Sono tante le domande che affollano la mia mente, ed è forte il senso di impotenza che provo. Sì, forse serve a poco e nulla, ma sicuramente voglio leggere. Perché i libri aiutano a conoscere realtà lontane, a capire.

Nella mia ricerca sulle letture dell'Afghanistan ho trovato la storia di Meena. Chi è?
Meena è stata una donna eccezionale, la fondatrice di RAWA, l'Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane. Lei è le sue sorelle hanno lottato per difendere il popolo oppresso, e soprattutto le donne e i bambini e quelle persone più inermi e calpestate dall'orrore che sconvolse - e purtroppo lo fa tutt'ora - il suo Paese.

Il 16 gennaio 2002 fu firmato il contratto per il libro di Meena. Eravamo un gruppo di sole donne: donne americane, che stavano preparando un dono per le donne afghane.

© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice


Un dono per le donne afghane.
Lo vedrei proprio così questo libro.
Ma un dono anche per le donne tutte.

Il libro è stato scritto da un'Americana, sì, ma che a mio avviso creando un bellissimo ponte tra America e Afghanistan, è riuscita a ricostruire un bellissimo ritratto di una giovane donna che ha lottato sino al suo ultimo respiro per un paese che ama, e soprattutto per i diritti delle donne e di tutte quelle minoranze oppresse dai regimi che si sono susseguiti in Afghanistan. Melody Ermachild Chavis, oltre a svolgere il suo compito di investigatrice privata, è anche attivista a favore della pace e dei diritti umani.
A seguito dell'attentato alla Torri Gemelle ha scoperto il sito di RAWA e da lì è iniziato il suo desiderio di conoscere e approfondire la storia di Meena, quel volto che appare subito nella homepage, e lo ha fatto anche grazie all'aiuto di altre attiviste afghane, che sono state entusiaste di regalarle ricordi e informazioni sull'associazione, la loro Terra e soprattutto la loro fondatrice.
Come dice anche nella post-fazione, il mondo conosce fin troppo bene l'immagine dell'orrore e della violenza di Bin Laden, perché non diffondere, invece, il volto di Meena, simbolo dell'amore per la libertà degli Afghani?

Quando oggi vedo le immagini delle donne che continuano a ribellarsi al ritorno dei Talebani, scendendo nelle strade, pronte a difendere i propri diritti, penso subito a questa lettura. È come se lo spirito di Meena continui ad aleggiare nel suo amato Paese, e ancora oggi, come allora, sono le donne a dimostrare il vero coraggio. Rischiano sì, ma dopo vent'anni in cui hanno potuto tornare a studiare, a lavorare, a costruire una sorta di normalità, non vogliono più tornare indietro. Giustamente, aggiungerei. Ed è forse proprio dalla loro forza che può emergere un vento di cambiamento, una forse fioca ma presente scintilla che non andrebbe mai spenta.

Meena nasce nel 1957 a Kabul, in una famiglia benestante di etnia Pashtun, il gruppo etnico maggioritario in Afghanistan, e sin da piccola ebbe la possibilità di studiare come i suoi fratelli. Dallo studio e dall'insegnamento di alcune donne - che cercano di trasmettere alle loro allieve l'importanza dell'educazione e dell'attivismo politico - nasce in lei la voglia di studiare legge, di divenire un avvocato delle donne, soprattutto di quelle che vivono nei villaggi, più povere e ancora sottomesse a rigide tradizioni del passato. L'infanzia di Meena scorre tranquilla, in un Paese in pace, sotto la guida del Re Zahir, che concesse molte libertà alle donne. Benevolo e amante della modernità e del modello Europeo, ma anche negligente. L'Afghanistan, fino a quel momento, era caratterizzato da genti diverse che vivevano insieme in relativa armonia, si fondava sul principio dell'ospitalità, e sul rispetto di un Islam più tollerante, il sufismo, aperto al rispetto di culture e credi differenti. Tuttavia era ben visibile la differenza tra città, più moderne, e campagne, in cui le famiglie erano ancorate a certe tradizioni antiche.

Siamo ancora, però, in un clima tranquillo per le donne: possono votare, lavorare, non sono obbligate a indossare il velo, e possono studiare liberamente come i maschi. L'Afghanistan è una terra che ama la vita, la bellezza, l'arte, la danza, la poesia e la musica. Quando ho letto una tale descrizione mi si è stretto il cuore, soprattutto nel pensare alla notizia del comico ucciso barbaramente dai Talebani. Ma dopotutto, nei regimi oppressivi le prime cose che vengono distrutte sono proprio l'arte e la cultura, perché aprono la mente, e per questo fanno paura.

Ovunque si vedevano volare aquiloni colorati: un passatempo molto popolare in Afghanistan.

Meena è una ragazzina seria e giudiziosa, amante dei libri e affascinata sin dall'adolescenza dalle figure delle donne, eroine nazionali (come Malalai), ma anche di coloro che osarono opporsi alle assurde leggi degli uomini. E forse fu anche tale ispirazione a spingerla di lì a pochi anni, quando ormai è una studentessa universitaria, a creare un'associazione femminista di sole donne: Jamiat-e Inqalabi Zanan-e Afghanistan, Associazione Rivoluzionaria delle donne d’Afghanistan, nel 1977. Un'organizzazione che si basa su alcuni principi e obiettivi importanti:

  • Lavorare per la democrazia, il ripristino delle elezioni in Afghanistan, e il diritto di voto per gli uomini e le donne;
  • Lottare per l’uguaglianza e la giustizia sociale delle donne, per i diritti fondamentali all’istruzione, alla difesa legale, alle cure mediche e per la liberazione dalla povertà e dalla violenza;
  • Nessuna imposizione religiosa. RAWA è un’associazione laica che chiede un governo laico per l’Afghanistan e la libertà religiosa per tutti.
  • All’interno di RAWA, le decisioni sul matrimonio, sul lavoro, sui figli e su come vestirsi sono lasciate alla libera scelta di ciascuna.
  • Tolleranza per le differenze: accogliere tutte le donne, di qualsiasi etnia, indipendentemente dalla regione di provenienza, o dall’origine tribale (quindi anche gli hazara, le minoranze che subirono e, purtroppo, subiscono ancora le peggiori persecuzioni).
  • Le donne di RAWA mettono in comune i loro beni, e imparano come aiutarsi per sopravvivere.
  • Creazione di corsi di alfabetizzazione, l'unico modo per sottrarre i giovani ai fondamentalismi.



Questo perché?
Il 17 luglio del 1973 le cose in Afghanistan iniziano a cambiare, a sgretolarsi, con la detronizzazione del Re da parte di suo cugino, il Principe Sardar Daud, che instaurò nel Paese una Repubblica e, senza indire elezioni, si autoproclamò Presidente. Ma il suo governò non durò molto.
Il 27 aprile 1978 gli uomini del Partito Popolare Democratico d’Afghanistan – una coalizione dei due partiti filosovietici Khalq e Parcham - s’impadronirono della Difesa di Kabul e degli uffici di Radio Afghanistan. Il principe Daud fu ucciso e il Paese cadde sotto il controllo del Consiglio Rivoluzionario delle Forze Armate.

L'invasione dell'Unione Sovietica, la guerra contro i mujaheddin, finanziati anche dagli Stati Uniti, gettano la Terra degli Afghani (stan significa luogo, terra) in un vero e proprio caos. Tra persone scomparse, uccise, mutilate, esiliate.
In questo clima di terrore e guerra, una luce cerca di farsi spazio: quella formata da tante piccole, grandi donne, che riunite dapprima in piccoli gruppi, cercano di collaborare insieme, e di sollevare la propria voce, opponendosi ai regimi, agli invasori, agli oppressori, lottando per i propri diritti, per la propria libertà. Quella di Meena, leader dolce e carismatica che nonostante le gravidanze, le crisi epilettiche e il dolore alle gambe lasciati dalla febbre tifoidea che la colpì da bambina, mai si piega, ma si impegna fino al limite delle sue forze per perseguire gli ideali in cui crede.

Promuove marce di protesta e incontri pubblici, la diffusione di volantini di denuncia contro i governi che si susseguono, fonda una rivista bilingue Payam-e-Zan, ossia il messaggio delle donne, atta a denunciare la natura criminale dei gruppi fondamentalisti, e in cui compaiono anche alcune sue poesie. Riesce anche ad arrivare in Europa per far conoscere e denunciare la triste situazione del suo paese, partecipando - come rappresentante RAWA - alla conferenza dell’Internazionale Socialista in Francia, dietro un nome falso per salvaguardarsi: Keshwar Kamel. Ma anche in esilio, in Pakistan, il suo lavoro e quello delle sue sorelle non si ferma: vengono realizzate scuole e laboratori di tessitura e artigianato per donne e bambini rifugiati, che possano da un lato permettere di raccogliere fondi per l'associazione, dall'altro instillare nelle donne la possibilità di staccarsi dal modello famigliare del patriarcato, trovando una propria dimensione, e il suo intento è anche quello di costruire un ospedale.

«Noi donne afghane siamo come leoni addormentati» disse Meena. «Quando ci svegliamo, reagiamo con la stessa forza e veemenza dei leoni. Ci sono solo due strade tra cui scegliere: schierarci con il regime criminale o combatterlo ed essere pronte a lottare come leonesse. Potremmo arrivare a rischiare la vita, e magari perderla.»

Meena s'innamora di un uomo che la rispetta, perché mai avrebbe accettato di sposare qualcuno che l'avrebbe obbligata a chiudersi in casa, o a rinunciare al suo attivismo. Avrà tre bambini, ma potrà goderli ben poco, così come il suo amato. (Straziante è anche il racconto sulla prima figlia: Meena per proteggerla e continuare il suo lavoro, la deve lasciare a un'altra donna. Cerca di non permettere alla bambina di affezionarsi a lei, per non farla soffrire. Agli occhi esterni può apparire una madre fredda, ma in verità anche questo è un sintomo di estremo coraggio.)

Ad appena 30 anni, infatti, nel 1987, alcuni membri della polizia segreta afghana - KHAD, il braccio afghano del KGB - riescono a scovarla e ucciderla.

Ma il suo messaggio, la sua forza, il suo coraggio, i suoi ideali sono ormai stati trasmessi. E anche dopo la sua morte le donne di RAWA non hanno mai smesso di operare, anche a rischio della propria vita. Ancora oggi, sono certa che tra quelle donne che gridano nelle piazze e nelle strade di Kabul, ci siano delle piccole, meravigliose, Meena pronte a lottare per ciò che è giusto, per i propri diritti, per la volontà di costruire il proprio futuro, per la libertà.

In questa biografia, in questo bellissimo ritratto che ne emerge, l'autrice cerca anche di riassumere un po' tutta la storia dell'Afghanistan dalla nascita di Meena, all'attentato alle Torri Gemelle. Dal Re, al governo fantoccio filosovietico, dal conflitto tra Unione Sovietica e Usa a causa della Guerra Fredda, all'instaurazione dello Stato Islamico e della minaccia e oppressione Talebana, fino ad arrivare al 2001 e poco oltre.

L'ho trovato molto interessante non solo perché ho potuto così scoprire l'esistenza di questa associazione femminista afghana, ma anche per cercare di chiarire un po' l'idea sulla Storia di questo popolo e di questo Paese. Una terra martoriata, un nucleo di conflitti tra varie forze esterne, ma anche tra etnie e gruppi interni al Paese stesso. Un luogo che sembra quasi non aver respiro e pace. E diciamo che l'Occidente, gli Stati Uniti in particolare, ai miei occhi non ne escono affatto bene.

È un libro che vi consiglio con tutto il cuore di recuperare.


Come fare da qui per aiutare le donne (e non solo) Afghane?
Che io sappia esiste un'associazione italiana che si occupa proprio di non lasciare sole queste donne, e che per i suoi ideali e obiettivi non si discosta da quello che è lo scopo di RAWA: Pangea onlus.
Possiamo dare delle donazioni.

E poi vi consiglio di seguire il sito di RAWA. Nella Home potrete vedere il volto di Meena, ed essere aggiornati costantemente sulle azioni di queste attiviste.

Infine, un altro consiglio è di leggere e informarsi, tenere la mente aperta, conoscere, e non giudicare. Siamo nella parte fortunata del mondo, e dobbiamo ricordarlo sempre. Cerchiamo di non parlare se non sappiamo. Proviamo a informarci e a non spegnere la luce su questi territori e queste vite.

Forse la nostra è solo una piccola goccia, lo so, ma anche una goccia può far tanto.

Sono la donna che si è destata,
ho trovato la mia strada e mai tornerò indietro.

IL LIBRO

Mai tornerò indietro
Melody Ermachild Chavis
Casa editrice: Sperling & Kupfer
Traduzione di: Coordinamento Italiano Sostegno RAWA
Pagine: 237
Prezzo: 16.00€
Anno di pubblicazione: 2005
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