Lettura di giugno per il mio progetto #aTeatroconShakespeare
Ebbene sì, ho già recuperato anche la lettura di giugno per il mio progetto sul Teatro di Shakespeare e vi annuncio già che mi è piaciuta tantissimo! Trattandosi di una commedia, ho riso molto, e in particolare grazie a due personaggi che entrano nel gruppo dei miei preferiti tra quelli tratteggiati dalla penna del bardo inglese: Benedetto e Beatrice. I loro continui battibecchi hanno suscitato molte delle mie risate. Mi hanno divertita, e ho trascorso delle liete ore in loro compagnia. Anche se, ovviamente, non sono i soli attori di questa Commedia Romantica che ha delle linee in comune con la tragica storia d'amore di Giulietta e Romeo.
Fonti
- Il cortegiano, di Baldassarre Castiglione (1528), tradotto in inglese da Thomas Hoby nel 1561.
- La civile conversazione, di Stefano Guazzo (1574) tradotto da George Pettie e Bartholomew Young
- Per la vicenda di Ero e Claudio: ispirazione da un romanzo alessandrino del V sec,
- ma anche dall'Orlando Furioso di Ariosto, nel quinto canto con la storia di Ariodante e Ginevra
- Novelle del Bandello - in particolare la novella XXII (1554)
Per questa commedia romantica, quindi, Shakespeare prende ispirazione da diverse fonti narrative italiane, rielaborandole e contaminandole con elementi clowneschi tipicamente inglesi.
Pensieri sull'opera
Parlate piano, se parlate d'amore.
Si torna alla commedia e, come sovente accade nel parlar d'amore, William Shakespeare ci trasporta in Italia, più precisamente a Messina. Qui giunge Don Pedro, Principe d'Aragona, con i suoi giovani Cavalieri dopo un'imprecisata battaglia. Ad accoglierli ci sono il governatore Leonato, sua figlia Ero e sua nipote Beatrice che subito spicca per la sua parlantina e per il suo sguardo che vaga alla ricerca di Benedetto, il giovane cavaliere che sembra disprezzare, ricambiata. Tra i due, infatti, inizia subito un gioco di parole, argute schermaglie verbali, frecciatine avvelenate, accumunati - così sembra - entrambi dal disprezzo verso l'amore e le unioni. Di contro, Claudio - l'altro cavaliere al seguito del Principe - s'innamora subito della bella e docile Ero, che intende conquistare proprio grazie all'aiuto di Don Pedro che per lui farà da tramite.
Si sviluppano subito due linee narrative parallele che fungono anche come una sorta di gioco di specchi: da un lato lo scontro verbale tra Benedetto e Beatrice, dall'altro la storia d'amore tra Claudio ed Ero, minacciata però dall'oscuro Don Juan, fratello bastardo di Don Pedro, che insieme ai suoi compagni trama nell'ombra, nel tentativo di far fallire le nozze.
Dal secondo atto, quindi, iniziano tutta una serie di inganni, equivoci e intrighi volti da un lato a far innamorare Benedetto e Beatrice, allo scopo di abbattere le barriere che ostacolano quello che invece è amore, dall'altro quello ben più minaccioso e tragico di Don Juan ai danni di Claudio e indirettamente del fratello disprezzato. Tutto giocato sulla parola, su quel tanto rumore inutile: come se volesse dire che c'è un uso di tante parole per non dire o non arrivare a nulla. Si spia, si osserva, si crede, ci si lascia ingannare e corrodere dentro dalla gelosia, quando in verità non c'è proprio nulla di così strano, di così assurdo. Tutto quello che si crede di aver visto o udito, in verità è niente. Non è mai accaduto. E se si provasse ad ascoltare semplicemente il cuore?
Uno degli aspetti che più ho trovato interessante, e che ho riscontrato nell'introduzione di Giorgio Melchiori, sta nelle similitudini tra questa commedia, Molto rumore per nulla, e la tragedia d'amore per eccellenza, ossia Romeo e Giulietta. In effetti ci sono molti elementi in comune, seppur l'esito sia diverso, e le risate superino le lacrime.
L'opera, infatti, presenta un ballo mascherato a casa di Leonato, in cui don Pedro mascherato tenta di conquistare la bella Ero in vece del suo cavaliere e amico Claudio, e in cui continuano le battute velenose tra Beatrice e Benedetto, nascosti dietro delle maschere.
C'è poi l'intervento di un frate che tanto ricorda Frate Lorenzo della tragedia menzionata: è lui che in un momento tragico della vicenda, spinge Leonato a far credere a tutti che sua figlia sia morta.
Morta, come bisognerà che si dica,
nell'istante stesso dell'accusa,
sarà pianta, compatita e giustificata
da chiunque lo senta; perché così avviene,
che quanto abbiamo, noi lo svalutiamo
finché lo godiamo, ma appena lo perdiamo e ci manca,
allora ecco che ne stiracchiamo il valore, e gli troviamo
virtù che il possesso non ci aveva mostrato
finché vigeva.
(Frate. Atto IV - I)
Questa trasposizione di Romeo e Giulietta in chiave di commedia si nota anche nei personaggi: se Claudio ed Ero e il loro amore a primo sguardo ricorda molto la storia dei due tragici amanti di Verona, in Benedetto e Beatrice possiamo quasi rilevare un Mercuzio “sdoppiato”, un ruolo che viene ancor più messo in risalto.
Benedetto e Beatrice, infatti, a differenza di Claudio ed Ero e così anche di Romeo e Giulietta, si conoscono da tempo. Il loro amore non nasce da uno sguardo, non è impetuoso, rapido, sfuggente; ma sembra molto più maturo, se così si può dire, e più reale, concreto. Dalle parole di Beatrice sembra esserci stato qualcosa tra loro in passato, ma finito in maniera del tutto negativa. Eppure, nei loro battibecchi sembra celarsi altro, che viene poi rivelato tramite il gioco di equivoci messo in atto dagli altri personaggi: da Pedro, Leonato e Claudio nei confronti di Benedetto, e da Ero e le sue serve verso Beatrice. E se Benedetto fosse davvero innamorato di Beatrice? E se lei provasse amore per lui?
Quasi che occorra una sorta di spinta, per aprire bene gli occhi, e anche un tocco di tragedia per riuscire a parlarsi in maniera più concreta. Fino a un finale in cui le frecciatine riprendono, ma in maniera quasi più dolce.
C'è anche una contrapposizione tra i personaggi e, in particolare, tra le due coppie: Benedetto inizialmente sembra molto misogino, critica le donne e l'amore, non vuole sposarsi, si oppone al matrimonio ma poi è disposto anche a opporsi al migliore amico pur di conquistare il cuore della persona amata; Claudio parla di amore per Ero, ma prova gelosia alle prime voci false che circolano su di lei. È volubile, condanna la donna senza vere prove. Si parla tanto di amore sincero, ma al primo ostacolo si getta tutto nel fango.
E poi abbiamo le due donne: da un lato Ero, rappresentazione dell'innocenza e delle virtù femminili che dovevano avere all'epoca. Precisa, sottomessa, il suo candore è anche un mezzo usato da Shakespeare per dare ancor più risalto al presunto adulterio di lei. Dall'altro lato c'è Beatrice, che invece ha un caratterino del tutto differente: sempre allegra, non esita a ribattere non solo alle frecciatine di Benedetto, ma anche ad altri uomini dell'opera. Inoltre si oppone con forza ai soprusi, condannando anche il gesto di Claudio nei confronti di sua cugina. Si rivela in lei anche quel desiderio di essere uomo per poter reclamare giustizia. Può forse ricordare in questo suo sentimento di vendetta la successiva Lady Macbeth, ma anche la Medea della tragedia Greca. È il personaggio che forse più risalta. Beatrice è intelligente, uno spirito inquieto “nato sotto una stella che danzava”, ma anche diversa dalle altre: sa benissimo star da sola, non ha bisogno di un uomo. Forse perché l'unico uomo che si adatta bene a lei, è proprio colui con il quale si scontra di continuo.
Beatrice: Una faccia come la vostra non c'è sfregio che possa peggiorarla.
Benedetto: Voi sareste bravissima ad ammaestrare i pappagalli.
Beatrice: Meglio un uccello con la mia lingua che un bestione con la vostra.
Benedetto: L'avesse il mio cavallo, la velocità della vostra lingua, e anche la resistenza. Ma andate per la vostra strada, io vado per la mia.
Beatrice: Il cavallo siete voi, che vi impuntate come un ronzino. Vi conosco da un pezzo.
Altro spunto interessante è il nome dei personaggi, che sovente è “parlante”: in modo particolare Benedetto e Beatrice sono molto collegati anche su questo aspetto. Beatrice è “colei che dona grazia”, e Benedetto è “Colui che è toccato dalla grazia”. Anche Claudio, dal latino claudicante, si adatta bene al suo atteggiamento instabile.
Molto rumore per nulla è quindi una commedia di puro e semplice divertimento, caratterizzata anche da elementi clowneschi tipicamente inglesi, che si ravvisano nei personaggi di Carruba e Sorba, guardie della ronda notturna che aiuteranno a svelare la realtà dietro l'equivoco oscuro organizzato da Don Juan, un precursore di quello che sarà un po' Iago nell'Otello.
Anche qui i versi usati perlopiù da Ero, Claudio, Leonato e Don Pedro si alternano alla prosa delle classi inferiori e anche dei due veri protagonisti dell'opera: Beatrice e Benedetto.
Un'opera davvero deliziosa, che è riuscita a farmi ridere in più di un'occasione e che vi consiglio di recuperare se non lo avete già fatto.
Benedetto: Miracolo! I nostri pugni contro i nostri cuori. Ma sì, ti prendo; però solo per compassione. Sia ben chiaro.
Beatrice: Non voglio respingervi ma, sia ben chiaro, cedo solo per le grandi insistenze; e anche un po' per salvarvi la vita. Mi hanno detto che stavate per morire di mal sottile.
Quest'opera fa parte del volume Le commedie romantiche dei Meridiani Mondadori, a cura di Giorgio Melchiori. La traduzione è affidata Masolino d'Amico. Alcune informazioni le ho prese anche dal libro di Giorgio Melchiori: “Shakespeare. Genesi e struttura delle opere” e da alcune lezioni di Cesare Catà.
Voto: ♥♥♥♥♥
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