Medea (Voci), di Christa Wolf

11 giu 2021

Libri

Dopo aver amato Cassandra ho deciso di proseguire la mia conoscenza di Christa Wolf con un altro romanzo-saggio dedicato a Medea.
Ero rimasta molto affascinata da questa figura quando, lo scorso anno, ho dedicato del tempo alla lettura di due opere su di lei: la Medea di Euripide e quella di Seneca. Molto diverse, ma accomunate da uno stesso esito finale. Medea era un'infanticida, l'assassina di suo fratello, che per vendetta decide di togliere tutto a Giasone, l'uomo che l'ha tradita e messa da parte.

Come potete leggere nelle mie riflessioni delle due opere, avevo preferito la versione di Euripide, perché nonostante non giustificasse i suoi terribili atti, la rendeva molto più umana, una donna da comprendere. Eppure, dopo aver letto questo saggio di Christa Wolf, sono rimasta un po' sconvolta.

Spiego meglio. Facendo delle ricerche è emerso che le fonti precedenti l'opera di Euripide non lasciassero emergere questo lato oscuro di Medea. No, lei non ha mai ucciso i suoi figli. E allora perché è arrivata fino a noi questa immagine orribile di una madre? A quanto pare, Euripide fu pagato per cercare di riabilitare l'immagine dei Corinzi. C'è stata quindi una rielaborazione, una vera e propria manipolazione della vicenda reale. Personalmente, l'opera del drammaturgo greco la ricordo ugualmente con piacere, ma questa riscrittura del mito da parte di Wolf, in una chiave anche più moderna, è riuscita a catturare la mia attenzione, e l'ho amata, anche più della già bellissima vicenda di Cassandra.

Mi dissi, io sono Medea, la maga, se è questo che volete. La selvaggia, la straniera. Non mi vedrete umiliata.

© una valigia ricca di sogni - marta.sognatrice

Medea di Christa Wolf è rappresentato come un coro di sei voci che narrano le vicende della maga della Colchide e del suo arrivo a Corinto come moglie di Giasone: Medea, Giasone, Agameda - un tempo allieva di Medea e poi rivale -, Acamante - primo astronomo del Re Creonte -, Leuco - secondo astronomo, e Glauce - figlia del Re Creonte e della Regina Merope e promessa sposa di Giasone -. Voci che si alternano e che mettono in luce non solo i sentimenti - positivi e negativi - provati per la protagonista, ma anche riflessioni su quel che accadde a Corinto.

Come per Cassandra, ho avuto quasi la sensazione di vederla come una vera e propria opera teatrale. Provate a immaginare un palco senza luci, una voce esterna che introduce la vicenda:

Pronunciamo un nome e, poiché le pareti sono porose, entriamo nel tempo di lei, incontro desiderato, dal fondo del tempo ricambia lo sguardo senza esitare. Infanticida?
Ecco, per la prima volta, il dubbio.

Poi, una prima luce scivola su Medea, una voce potente, a cui segue quella di Giasone, e poi, via via, ogni altro personaggio. In un gioco di luci e ombre, di odio e amore, di verità e menzogna, di ricordi dolorosi e profondi sensi di colpa.

Christa Wolf ribalta così la versione degli antichi drammaturghi, facendo emergere una figura del tutto diversa da quella che abbiamo sempre conosciuto. Medea è una donna molto più complessa di quello che appare: non un'infanticida, non un'assassina, e neanche la persona gelosa e innamorata di Giasone al punto da vendicarsi in maniera terribile contro di lui e la loro stessa prole. Medea, colei che guarisce o che consiglia, è una donna forte e coraggiosa, che non si piega davanti alla violenza maschile, ai soprusi e alle leggi assurde di una società patriarcale che vede nelle donne quasi degli animali da addomesticare e rendere mansueti.

Medea guarda fissa negli occhi degli uomini, avanza sicura, consapevole anche della sua sensualità. Medea ritrova l'amore, e discorre tranquillamente con altri uomini che scrutano le stelle, guarisce gli ammalati, sostiene anche Glauce scossa da un male insidioso, da un senso di oppressione e di colpa per un segreto che è stata costretta - come l'intera città - a celare.

Un segreto. Già.

La città ha fondamenta sopra un misfatto.
Chi rivela questo segreto è perduto.

La caduta di Medea ha proprio inizio dalla scoperta - grazie alla sua Seconda Vista - di un terribile segreto su cui poggia il potere di Re Creonte: l'assassinio di un innocente. Una realtà così simile a quella da cui lei è scappata. Perché sì, nella versione di Wolf, non è Medea a uccidere il fratello e farlo a pezzi, ma è un altro Re, sempre mosso dalla bramosia del potere che va anche oltre gli affetti, al di là dell'amore, della verità. Non per amore, fugge, ma mossa dal desiderio di allontanarsi dalla violenza, da una realtà che non sente più sua.

Eppure, anche a Corinto si sente esclusa. Medea è la straniera, la barbara, la profuga; depositaria di un sapere antico «del corpo e della terra», e di valori di una società Matriarcale presente nella Colchide nei tempi passati, in cui le donne erano Regine. Tra i greci è impensabile che una donna parli prima di un uomo, che osi svelare segreti, o esprimere le proprie opinioni. Ed è per questo che le sue azioni, che molto spesso sono tese ad aiutare l'altro, non sono tollerate. Scoprire quelle ossa innocenti, diventa un pericolo per lei. Diffamata, e poi accusata di tutto quel che accade, dal terremoto, alla peste, ad altre morti, Medea diventa il capro espiatorio perfetto (come Cassandra, come le successive donne ritenute streghe e arse sul rogo), da mettere a tacere, da esiliare, da annientare anche a costo di spargere altro sangue innocente.

Imparai che non c'è menzogna troppo grossolana a cui la gente non creda, se essa viene incontro al suo segreto desiderio di crederci.

 Si contrappongono così due società: da un lato quella “barbara“ degli abitanti della Colchide,che anche in territorio straniero non vogliono rinunciare ai loro rituali legati alla Madre Terra; dall'altra la società patriarcale greca, organizzata, razionale, focalizzata sull'importanza del denaro, dell'oro, una realtà spesso intollerante nei confronti dello straniero.

Medea, come dicevo, quindi non si piega. Potrebbe - come le viene consigliato - rendersi invisibile, non proferire parola, non battere ciglio, così da essere tollerata. Ma non è nella sua natura. Lei, come Cassandra, vuole trasmettere quella verità, che, invece, gli uomini e le donne di Corinto preferiscono celare dietro un'idea illusoria di felicità.

Tra le diverse voci, mi è rimasta impressa anche Glauce, colei che è costretta a divenire una sorta di rivale di Medea, destinata a essere la nuova moglie di Giasone. Qui, Medea tramite la sua arte e le sue conoscenze, cerca di aiutarla contro un male insidioso. Glauce soffre anche di un profondo senso di colpa che la logora dentro. Lei sa di quel mistero che sconvolge Corinto, sa ma le è stato imposto di dimenticare. Diventa quasi il riflesso, come viene espresso molto bene nella post-fazione di Anna Chiarloni, una sorta di simbolo dell'omertà delle donne di fronte alla violenza della società patriarcale, un silenzio che però può a lungo andare portare alla morte. Sono forse le immagini più intense, insieme a quelle di Medea.

Anche qui, come in Cassandra, ho avuto modo di scoprire che c'è sempre un parallelismo tra Christa e Medea, tra le due situazioni vissute. In questo caso, c'è un riferimento alla campagna di diffamazione promossa nel 1990 dalla stampa occidentale nei confronti degli intellettuali della DDR, e quindi anche di Christa Wolf.

Leggere le opere di questa autrice, queste rielaborazioni del mito in una chiave più moderna, è stato magico. Complesso, inutile negarlo, perché la sua scrittura non è sempre facile da seguire, ma quando hai oltrepassato una prima difficolta, ti stringe così forte a sé che non puoi smettere di leggere. La bellezza sta anche nel notare quanto questi miti, queste storie, siano ancora piuttosto attuali.

Una mano tesa, pensai, perché dovrebbero disdegnarla. Oggi so perché. Perché riescono a mitigare la loro paura solo con la furia contro gli altri.

Il diverso, il profugo, la donna che si ribella alla violenza dell'uomo... quante volte ancora oggi vengono visti male? Quanto è facile farli diventare dei capri espiatori a cui addossare tutti i mali della società? Lo straniero che arriva nel nostro paese viene visto come uno che vuole rubarci il lavoro; la donna che osa denunciare una forma di violenza fisica o psicologica, spesso non è compresa, anzi, è additata male dagli occhi di una società così improntata ancora adesso su un potere troppo maschilista. E i potenti anziché placare la rabbia, l'accendono ancora di più, e questa si riversa in forme di odio e brutalità che fanno rabbrividire. E forse è vero che la mentalità di alcuni non cambierà mai...
Cassandra e Medea diventano dei testi importantissimi per riflettere anche sulla nostra realtà; su questo mondo dove si preferisce chiudere gli occhi, anziché scorgere una verità che può ferire o annullare una presunta e vacua felicità. Dove non si vuole comprendere la propria colpa, ma si preferisce scagliarsi sull'altro, su chi è differente da te, con un'altra cultura, un proprio pensiero, o chi osa alzare la testa.

È stato bellissimo conoscere la sua scrittura, il suo stile, le sue donne. Mi fermo un po' con i suoi libri, ma magari in futuro proverò a leggere altro.

Sai che cosa cercano, Medea? Mi chiese. Cercano una donna che dica loro che non hanno colpe; che sono gli dèi, oggetto casuale di adorazione, a trascinarli nelle loro imprese, che la scia di sangue che si lasciano dietro fa parte della mascolinità così come gli dei l'hanno determinata.

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IL LIBRO

Medea
Christa Wolf
Casa editrice: Edizioni E/O
Traduzione di: Anita Raja
Pagine: 234
Prezzo: 7.50€
Anno di pubblicazione: 2005
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