Sul sito di Let's Book pochi giorni fa è stata pubblicata la mia ultima recensione.
Ho avuto l'opportunità di leggere un libro che mi interessava moltissimo, in collaborazione con loro e la casa editrice Neri Pozza che ringrazio per la copia cartacea.
Conoscete le Comfort Women (Donne di Conforto)?
Sul mio blog ve ne ho parlato di già, avendo letto due libri sul tema. Oggi torno a condividere un altro consiglio per approfondire questa triste pagina di Storia.
Le Figlie del Dragone di William Andrews è un toccante omaggio a queste donne, o meglio ragazze, che hanno dovuto sopportare non solo la violenza dei soldati Giapponesi, ma anche la vergogna se per fortuna riuscirono a tornare in patria. Viste da alcuni come traditrici in questo caso della Corea, erano subito etichettate male dalle persone che, invece, avrebbero dovuto aiutarle e accogliere in modi più opportuni e con più riguardo.
Era qualcosa di peggio del dolore. Era dolore e terrore e umiliazione e vergogna tutto insieme. Volevo morire. Provai a resistere, ma quando lo feci lui mi rise in faccia. Era un uomo forte. Io ero solo una ragazza. E lui era il colonnello dell’esercito giapponese.
La storia inizia con Anna, una giovane donna di vent'anni, che descrive la sua famiglia adottiva e la vita in America.
Adottata a soli cinque mesi, Anna ha sempre avuto la sensazione di essere divisa in due perfette metà: la ragazza americana che vive felice con i suoi amati genitori ma che viene presa in giro per il suo essere “diversa”, ma anche quella coreana, di cui però non conosce nulla e forse non ha mai provato il desiderio di scoprire alcunché, sentendosi quasi rifiutata, non voluta.
Quando la madre adottiva muore, però, Anna decide di recarsi in Corea, a Seoul, per cercare di riempire il vuoto del suo passato. Qui, in un orfanotrofio, però riceve un'altra batosta: la sua madre biologica è morta nel darla alla luce.
Anna fugge via, sconvolta, ma viene fermata da un'anziana signora che le lascia un pacchetto e un biglietto, invitandola a non far vedere a nessuno quel che contiene. Ma aggiunge anche una cosa molto importante: se vuole scoprire il suo passato deve recarsi il giorno seguente all'indirizzo segnato sul foglio.
Il pacchetto rivela un pettine di pregiata fattura, d'oro con incastonato un drago a due teste. Cosa può significare? Quale relazione la lega a quell'oggetto?
Anna va, e in un appartamento misero, incontra l'anziana signora che le rivela di essere sua nonna Hong Jae-hee e inizia a narrarle la sua storia.
Jae-hee diventa quindi la vera protagonista e attraverso il suo racconto si apre uno squarcio tra le pagine della Storia. Quelle pagine dimenticate che, invece, è opportuno condividere, conoscere, mai dimenticare. Jae-hee aveva solo quattordici anni quando, dietro una falsa opportunità lavorativa, venne portata in Manciuria con sua sorella Soo-hee e altre ragazze, e qui sottoposte alle più spregevoli violenze da parte dell'esercito Giapponese.
Spogliate del loro vero nome e della lingua coreana, furono chiuse all'interno di piccole celle quasi prive di luce, e qui umiliate e violate ripetutamente. Ogni giorno, anche trenta o quaranta uomini abusavano dei loro corpi, le percuotevano con rabbia e sadismo, incuranti delle loro emozioni, dei sentimenti, del dolore provato. Ianfu. Donne di conforto. Così venivano chiamate.
Quando erano insieme, lei era terra, lui cielo. Insieme avevano rappresentato il mondo, per me. Avevo guardato lui come si guarda un falco che vola, in alto, mentre ci si domanda com'è volare.
[...]
Era mamma che, come le radici di una quercia, mi teneva ancorata a terra.
Quello che più mi ha colpito di questo testo sta nel non limitarsi solo a questo aspetto, importantissimo e per nulla edulcorato, ma l'autore ci permette di fare un vero e proprio viaggio nella Corea del dopoguerra. Dall'avvento e sogno comunista, al conflitto tra le due Coree ma anche l'intromissione da parte di Unione Sovietica e Stati Uniti d'America. Mi ha permesso, così, di scoprire e approfondire una pagina di Storia di un Paese - la Corea - di cui non sapevo quasi nulla.
Come per ogni donna che ancora oggi subisce violenza, anche qui le ragazze che riuscivano a tornare vive in patria, provavano un profondo senso di vergogna che le spingeva - almeno inizialmente - a non parlare di quanto provato. William Andrews riesce a far trasparire i sentimenti provati da Jae-hee: quella voglia di tacere, di tornare a vivere non volendo proferire parola alcuna, perché l'umiliazione era troppo intensa, come un assurdo senso di colpa annebbiava il suo cuore. Quella sensazione di essere sporca, quegli occhi che la osservano e quelle bocche che sono pronte a scagliare mali parole contro quelle presunte traditrici, troppo disponibili nei confronti del nemico. La difficoltà di andare avanti, continuando ad avere incubi per quello che si è attraversato. La violenza che torna a mostrarsi nei momenti meno opportuni. Eppure Jae-hee cerca di rialzarsi, di vivere in un contesto che però risulta sempre più difficile. Si avverte anche quella sensazione di nausea nello scoprire di nuovi rapporti lavorativi tra Corea e Giappone. Fino ad arrivare alla lotta di queste donne - nonne - per far sentire la propria voce, per ricevere le dovute scuse dal Giappone, per essere riconosciute per quello che hanno dovuto subire. Una lotta continua per non lasciare nell'oblio quella triste pagina di storia.
E fu in quel momento che mi resi conto che, pur non avendo la bellezza di mamma né tantomeno l'intelligenza di papà, Soo-hee li riuniva in sé: era cielo e terra. Come mamma mi faceva tenere i piedi per terra. Eravamo in un posto terrificante, e io dovevo imparare la disciplina, se volevo sopravvivere. Ma, come papà, mi faceva credere che avrei potuto farcela.
È una narrazione inventata sì, ma riprende comunque fatti storici realmente accaduti.
È un libro che mi è piaciuto davvero molto, ma che rappresenta la violenza così come è veramente: nulla è edulcorato, e a volte per chi è più sensibile non è facile leggere certe cose.
Però c'è anche una percezione - magari personale - che resti una “voce maschile americana”, che omaggia sì, in maniera anche sentita, queste donne, ma che forse non può rendere in maniera totale la sensibilità di chi ha subito in prima persona tutta quella violenza. Una visione forse troppo Americana di una storia Coreana.
Resta comunque un romanzo che consiglio a chi ha voglia di conoscere questo aspetto storico. Nella storia troverete anche un elemento più misterioso e fantastico che fa riferimento a quel pettine con il drago che Anna riceve da sua nonna, e che la lega indissolubilmente alle donne della sua famiglia e anche alla stessa Corea. Personalmente, però, ho trovato più interessante la Storia delle donne di conforto e della Corea stessa.
È un romanzo che emoziona, che scatena rabbia, ma in cui non si troverà solo la violenza, ma anche l'amore, e soprattutto la famiglia, che spicca in particolar modo nel rapporto bellissimo tra le due sorelle: Jae-hee e Soo-hee. Il finale, poi, mostra un'immagine intensa che mi ha molto commosso.
Se volete approfondire altri romanzi sul tema vi consiglio: Storia della nostra scomparsa di Jing-Jing Lee e il graphic novel Le Malerbe di Keum Suk Gendry-Kim. Mentre appena possibile voglio assolutamente recuperare Figlie del mare di Mary Lynn Bracht.
Voi conoscete altri testi sul tema? Avete letto qualcuno dei libri consigliati?
In ginocchio nel fango, con il viso rivolto al cielo, lasciai che le mie mille urla incontrassero mille stelle nella notte della Manciuria, una notte senza luna. Piansi per la mia innocenza, per tutte le volte che mi ero sentita chiamare “puttana”. Piansi per le ragazze morte che erano state mie sorelle. Piansi per mia madre e per mio padre. E piansi per Soo-hee. Le grida mi lacerarono lo stomaco, i polmoni, il cuore, finché dentro non mi fu rimasto più niente, fino a quando, vuota, non collassai in quel pantano.
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