Febbraio con... Elsa Morante.
Per il mio progetto Una Valigia d'Italia a febbraio ho affrontato un titolo che mi attendeva in libreria da troppo tempo: La Storia, di Elsa Morante. Un romanzo intenso che, nonostante la mole, ho letto con piacere e che, alla fine, mi ha lasciato moltissime emozioni.
Di Morante avevo letto, in passato, solo L'isola di Arturo - titolo che però vorrei rileggere presto -, ma ero curiosa di conoscere di più la sua scrittura. Devo dire che La Storia è uno dei romanzi italiani più belli che io abbia letto finora. Ida, Nino, Davide, Bella e il piccolo Useppe resteranno sempre impressi nel mio cuore.
Un consiglio prima di iniziare con le mie riflessioni: guardate anche il film del 1986 che potete trovare sul sito di RaiPlay!
I due occhi, poi, non tardarono a spalancarsi; e si rivelarono, nella piccolezza del viso, così grandi, da sembrare già incantati per lo spettacolo che vedevano.
La narrazione ha inizio nel 1941, quando Ida Ramundo, insegnante vedova, viene violentata dal giovane soldato tedesco Gunther. L'indomani, quest'ultimo parte per la guerra in Africa da dove non farà mai ritorno, lasciando nel ventre della donna un seme speciale. Ida, infatti, si ritroverà incinta di un meraviglioso bambino dagli occhi turchini: Useppe.
L'unico figlio avuto con il marito è invece Nino, un ragazzo allegro e pieno di vita, sfrontato ed esuberante, che a differenza di quanto potesse aspettarsi sua madre, s'innamora sin dal primo sguardo del bambino, con il quale instaurerà un profondo legame.
Altro personaggio molto importante sarà poi Davide Segre, giovane ebreo e anarchico, con valori molto profondi - come la non-violenza - che però, a causa dello sferzare irrompente della Storia si ritroverà a contraddire se sesso e i suoi nobili ideali, cadendo in una spirale impetuosa che lo spingerà sempre più verso il basso.
I protagonisti sono quindi persone normali, spesso gli ultimi, o i cosiddetti piccoli del mondo, che vengono via via sopraffatti dallo Scandalo che dura da diecimila anni, da questa Storia che si ripete costantemente, dal Potere che può anche mutare di nome, ma che andrà a colpire sempre i più deboli, i sognatori, i bambini, gli animali, le giovani donne e madri, i ragazzi che divengono figli della violenza.
Alla storia dei piccoli si contrappone, infatti, la grande Storia i cui eventi principali vengono narrati cronologicamente all'inizio di ogni anno. Il romanzo infatti inizia nel 1941 ma arriva al 1947, non limitandosi così a descrivere solo gli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale, ma anche gli effetti che questa guerra ha lasciato sulla popolazione, e che spesso sono anche peggiori della guerra stessa.
Secondo me la bellezza del romanzo sta appunto nell'importanza di guardare i fatti non dal punto di vista di grandi nomi o dei potenti, ma concentrandoci proprio sui piccoli, anche se non esistono piccole storie. Ogni vita è importante.
Il tutto è descritto da una narratrice, Elsa Morante stessa, che spesso sembra entrare nel romanzo, rivelando di aver conosciuto alcuni personaggi, di aver sentito di certe storie. Li guarda, li ascolta, ma non c'è mai un giudizio profondo, neanche contro il soldato tedesco che fa violenza su Ida.
Non s'era mai vista creatura più allegra di lui. Tutto ciò che vedeva intorno lo interessava e lo animava gioiosamente. Mirava esilarato i fili della pioggia fuori della finestra, come fossero coriandoli e stelle filanti multicolori. E se, come accade, la luce solare, arrivando indiretta al soffitto, vi portava, riflesso in ombre, il movimento mattiniero della strada, lui ci si appassionava senza stancarsene: come assistesse a uno spettacolo straordinario di giocolieri cinesi che si dava apposta per lui.
Protagonisti sono quindi Nino, un ragazzo innamorato della vita e con il cuore straripante di sogni. In un primo tempo sembra essere figlio di quel mondo malato, in quanto segue con fervore la propaganda fascista - pur non essendo veramente consapevole della sua vera essenza -, ma poi lo ritroviamo sull'altra sponda, tra i Partigiani. Nino, nonostante la sua volgarità ed esuberanza, e le sue azioni non propriamente inclini alle regole della società, porta una boccata di aria fresca e allegria ogni volta che compare sulla scena. Bellissimo è inoltre il suo rapporto con il piccolo Useppe, un legame profondo che nasce già dal primo sguardo.
Altra protagonista è Ida/Iduzza, una vedova, una madre, una mezza ebrea. Una donna ancor bambina che deve lottare ogni giorno non solo con le difficoltà della guerra e del crescere due figli da sola, ma anche con le sue tante paure che infestano anche le sue notti: sono tanti gli incubi che vengono narrati e che sconvolgono l'esistenza della donna. Perché quest'ansia? Ida ha scoperto da bambina che sua madre era ebrea e, con le leggi razziali del '38, ha il costante terrore di essere osservata o che i tedeschi o i fascisti possano scorgere in lei il suo sangue giudìo. Al di là della paura, però, lei sente di avere anche un profondo legame con questo mondo: pur non avendolo mai frequentato, avverte come una comune origine, un senso di appartenenza. Inoltre, da bambina soffriva anche di un male misterioso, una sorta di isteria. Una malattia, che insieme all'essere in parte ebrea, ha sempre dovuto nascondere. Di Ida apprendiamo anche il suo passato, la sorte dei suoi genitori, la sua crescita e il suo matrimonio. Appare sempre come una persona molto timida, che sembra quasi passare rasente ai muri, nella speranza di non essere osservata; non bella, e invecchiata precocemente, ma soprattutto una Madre capace di andare anche contro i propri ideali pur di salvare i suoi figli, in particolar modo Useppe, quel figlio non cercato ma che per lei è tutto. Su di lei gli effetti delle guerra sono devastanti, la fine ti dà i brividi per come viene descritta dall'autrice. È sicuramente un personaggio che resta impresso nel cuore.
E poi c'è Davide, nel quale secondo alcuni critici c'è un po' il riflesso di Elsa Morante. Prima Carlo, poi il partigiano Piotr, Davide è un ebreo che è riuscito a sfuggire e che per caso si ritrova nello stesso capannone dove Ida e il piccolo Useppe sono costretti a vivere dopo che il bombardamento alleato ha distrutto la loro casa. Davide inizialmente è molto schivo, freddo, ma quando grazie anche alle numerose domande di Nino, emerge la verità, si comprende il suo carattere complesso e contraddittorio. Egli crede con forza all'idea dell'Anarchia come unico modo per poter vivere in pace, vorrebbe essere fedele alla nonviolenza ma... la Storia e la guerra influiscono negativamente su di lui, in maniera anche feroce. Davide crolla, un po' alla volta, in una voragine impetuosa, senza alcun aiuto. Inoltre, prova anche un forte senso di colpa per certi pensieri e azioni che ha commesso. A mio avviso è un personaggio molto complesso, che provoca anche una grande dose di tristezza.
Infine, c'è Useppe.
Piccolo, dolce, Useppe.
Nato nel pieno della guerra, Useppe è una piccola grande luce nella vita di Ida e di tutti coloro che incroceranno la sua esistenza. È un bambino particolare: da un lato sembra avere una sorta di ritardo, dall'altro appare molto più precoce rispetto ad altri bambini. Useppe sa conoscere la lingua degli animali, e sembra osservare il mondo con i suoi bellissimi occhi turchesi. Per lui ogni evento, o elemento, è pervaso da qualcosa di magico, quasi mistico. S'interessa a ogni cosa, soprattutto alle persone che incontra; è di una dolcezza così disarmante che diventa impossibile non affezionarsi a lui. Useppe e le sue parole strane, le sue tenere poesie; il suo amore profondo verso il fratello Nino; la sua attenzione verso le persone che incontra, la sua voglia di aiutare anche Davide nei periodi di difficoltà. Quello di Useppe è lo sguardo innocente e ingenuo di un bambino, che si stupisce di fronte a eventi di tale portata e incomprensibili; e che ne rimane, inevitabilmente, impressionato.
L'innocente che riesce a vedere la realtà del mondo, ma che è oppresso dall'irrealtà.
Dapprima la sorprese un silenzio irreale del luogo. E in questo i suoi orecchi, ronzanti dai digiuni, incominciarono a percepire delle voci. Non fu, invero, propriamente un'allucinazione, perché Ida si rendeva conto che la fabbrica di quelle voci era dentro il suo cervello, anzi lei stessa non le avvertiva altrove. Però, l'impressione che ne riceveva era che si irradiassero nei suoi canali auditivi da qualche dimensione imprecisata, la quale non apparteneva né allo spazio esterno, né ai suoi ricordi.
Attorno a questi personaggi, ruota un gran numero di altri individui che in qualche modo intrecciano i loro destini con Ida e i suoi figli, ma anche con Davide. Diventa quindi un romanzo corale, che dà voce a tanti individui del popolo che dalla guerra, dal potere e dalla Storia sono profondamente toccanti: da I Mille, una numerosissima famiglia napoletana tra cui spicca la giovane Carulì, ragazza madre di due gemelline; a Giuseppe Cucchiarelli (chiamato da Useppe, Eppetondo), un anziano comunista che ben presto si unirà alle forze partigiane e la sua gatta Rossella; dalla popolazione del ghetto ebraico, alla famiglia Marrocco con la quale l'autrice affronta anche il tema della ritirata di Russia, fino a Santina, una vecchia prostituta, e a Pietro Scimò, un adolescente fuggito dal riformatorio, senza dimenticare, ovviamente, i due cani di Nino: Blitz e soprattutto Bella, una pastora maremmana abruzzese che diventerà una sorta di seconda madre per Useppe.
Dando voce a questi ultimi, Elsa Morante riesce a intrecciare le loro storie con la Storia: ecco che quindi i temi sono molti. Viene tratteggiata la deportazione degli ebrei, attraverso l'uso di immagini davvero forti e a mio avviso toccanti: un treno fermo da cui escono lamenti e richieste d'aiuto, una madre e moglie che potrebbe salvarsi ma che chiede di essere unita alla sua famiglia; ma anche il ritorno presso il ghetto, ormai vuoto, così differente da qualche anno prima, pieno di vita, di commercio, di legami.
Ma si parla anche della propaganda fascista capace di soggiogare i più giovani, anche se spesso non ne conoscono la vera sostanza.
Si va poi tra i monti, in mezzo ai partigiani, soprattutto giovani ragazzi pronti a dare la vita pur di liberare la propria terra dal potere nazifascista.
Non vengono tralasciati i bombardamenti su Roma, la difficoltà di rialzarsi dopo aver perso tutto, la fame, le privazioni, i turbamenti, la paura.
E come dicevo viene narrata anche la campagna di Russia, attraverso l'immagine di Giovannino, figlio dei Marrocco, che continuano ad attendere invano. Giovani dispersi in una guerra senza senso.
Elsa Morante però non si ferma ai soli anni della guerra, bensì continua a narrare anche degli anni successivi, fino al 1947 anno in cui si interrompe la storia di Ida e del suo piccolo Useppe. Si assiste alla liberazione, agli effetti da un lato positivi, ma dall'altro negativi verso i cosiddetti figli della violenza, o i soggetti più deboli. Eppure, se la storia dei nostri protagonisti si conclude, la grande Storia prosegue, in un circolo infinito e ripetitivo che forse non avrà mai fine. La Storia è una continua prevaricazione dei potenti a danno dei più poveri, degli indifesi, dei semplici.
Il silenzio, in realtà, era parlante! anzi, era fatto di voci, le quali da principio arrivarono piuttosto confuse, mescolandosi col tremolio dei colori e delle ombre, fino a che poi la doppia sensazione diventò una sola: e allora s'intese che quelle luci tremanti, pure loro, in realtà, erano tutte voci del silenzio. Era proprio il silenzio, e non altro, che faceva tremare lo spazio, serpeggiando a radice più in fondo del centro infocato della terra, e montando in una tempesta enorme oltre il sereno. Il sereno restava sereno, anzi più abbagliante, e la tempesta era una moltitudine cantante una sola nota (o forse un solo accordo di tre note) uguale a un urlo!
Però dentro ci si distinguevano chi sa come, una per una, tutte le voci e le frasi e i discorsi, a migliaia, e a migliaia di migliaia: e le canzonette, e i belati, e il mare, e le sirene d'allarme, e gli spari, e le tossi, e i motori, e i convogli per Auschwitz, e i grilli, e le bombe dirompenti, e il grugnito minimo dell'animaluccio senza coda... e « che me lo dài, un bacetto, a' Usè? ».
È un romanzo storico di cui faccio un po' fatica a parlare, ma che ha lasciato una traccia profonda nella mia anima. Le descrizioni sono così realistiche che ti pare di ascoltare come una testimonianza, magari dei nostri nonni, su quello che la Seconda Guerra Mondiale ha lasciato sui cittadini comuni. Ti sembra di conoscere i vari personaggi, ti affezioni a loro, e poi diventa difficile lasciarli andare una volta girata l'ultima pagina.
La narrazione di Elsa Morante è molto dettagliata: descrive con minuzia di particolari ogni scena, creando anche lunghi elenchi con i quali tenta di ricostruire il mondo piccolo borghese, o popolare, più umile.
È un libro che mi ha particolarmente commossa.
Con un linguaggio popolare, che vede anche l'uso del dialetto romano e napoletano (quando parlano i Mille), l'autrice cerca di arrivare un po' a tutti i lettori.
E, in effetti, è il suo scopo: Elsa Morante chiese di pubblicarlo direttamente in brossura, in formato tascabile e a basso costo e lo dedicò all'analfabeta per il quale scrive, un ossimoro con il quale allude alla volontà di trasmettere questo libro a chiunque.
Si tratta di un'opera che negli anni 70 suscitò anche molte critiche, ma che a mio avviso merita di essere letto. Non solo perché tratta di numerosi temi anche piuttosto importanti, ma perché finalmente si parla più concretamente degli effetti che il Potere può provocare sulle persone. L'autrice dà voce agli umili, agli sconfitti, alle vittime della violenza, e li riscatta, perché mette in luce la loro ricchezza umana.
Commuove, ti fa a tratti sorridere, ti ruba e strazia anche un po' il cuore, ma resta una delle letture più belle tra le opere italiane che ho letto finora.