Medea, di Euripide / Seneca

20 ott 2020

Libri

Letto per #Iltesorogreco di @sorrideredibrutto e @eccoilibri su instagram.

Dopo aver letto l'Antigone di Sofocle, ho deciso di dedicarmi al personaggio di Medea. In biblioteca ho trovato un volume che raccoglie e pone a confronto le opere di Euripide e Seneca. I due drammaturghi hanno voluto dare uno sguardo diverso al personaggio, così come per la messa in scena.
Per mio gusto personale ho preferito la lettura di Euripide, che rende più umana Medea, pur non giustificando i suoi atti, cerca di ascoltarla, di comprenderla, anche nel suo commettere una vendetta fin troppo tragica. Seneca, invece, ci dona un personaggio sin da subito demoniaco, soggiogato totalmente dal furore della passione; la sua Medea vuole vendicarsi del torto subito, e non esita a compiere atroci atti anche sui suoi figli, dinnanzi al loro padre Giasone.

Come dicevo per l'Antigone, non ho mai studiato queste opere, quindi cerco di parlarne dal mio semplice punto di vista, dalle emozioni scaturite, e dalle ricerche che ho fatto personalmente grazie anche all'ausilio di libri sul teatro.

Medea di Euripide

Ma suvvia, armati, mio cuore; perché indugiamo a compiere questo male terribile e pure ineluttabile? Orsù, o misera mano mia, prendi la spada, prendila, muovi verso la dolorosa meta della vita: non essere vile e non ricordarti dei tuoi figli, che ti sono assai cari, che li partoristi, ma solo per questo breve giorno dimenticati dei tuoi figli; e poi piangi.

© una valigia ricca di sogni

Medea è una tragedia greca portata in scena da Euripide per la prima volta ad Atene nel 431 a.C. in occasione delle Grandi Dionisie.
Siamo a Corinto e Giasone decide di ripudiare sua moglie Medea per sposare la figlia del Re Creonte - Glauce o Creusa, il cui nome però non è esplicitato dall'autore - per questioni soprattutto di potere.
Medea, ovviamente, è da principio disperata. Lei che ha aiutato Giasone a prendere il Vello D'Oro, lei che lo ha fatto fuggire da suo padre Eete, re della Colchide, arrivando addirittura a uccidere suo fratello spargendone i poveri resti in mare, lei che tramite la sua conoscenza di veleni e abilità persuasive ha commesso i più atroci delitti pur di vivere al fianco dell'uomo amato. Lei un'esule, una barbara, che si ritrova in un mondo tanto diverso. E ora, nonostante tutti i suoi atti, viene ripudiata, oltraggiata, tradita e anche esiliata.
Medea è disperata ma prova anche un forte rancore che la spinge a meditare vendetta. Nonostante alcuni momenti di esitazione, anche se comprende benissimo che i suoi atti la porteranno a un dolore ancora più profondo che non svanirà mai, con lucida razionalità persegue il suo scopo. Annientare Giasone, quell'uomo di cui si è innamorata, e che l'ha ingannata. Colpirlo al cuore. Togliendogli tutto. Dalla nuova moglie, ai...loro figli.

L'attenzione di Euripide si concentra, quindi, in modo particolare su questa donna, andando però a riflettere e in un certo senso condannare la società ateniese. La donna all'epoca non valeva quasi nulla. Sottomessa al potere dell'uomo, e a rigide regole, non poteva avere voce in capitolo. Medea però alza la testa e si oppone alla sua misera condizione. Giasone con il suo atteggiamento egoistico e meschino ha messo a repentaglio la sua dignità, il suo onore. La ripudia, la allontana. Ma dove può andare quest'esule ormai disprezzata e odiata da tutti per i delitti commessi?

Oltre alla forza di una donna che non china il capo all'arroganza e al potere maschile, troviamo anche il tema del diverso, dello straniero, del contrasto tra il mondo civile della città di Corinto e quello barbaro della Colchide da cui proviene Medea.
Medea è quindi l'immagine della barbara, della straniera, che non conosce gli usi e i costumi del luogo, che viene disprezzata, ma che non ha intenzione alcuna di venire umiliata e offesa dagli abitanti di Corinto.

Medea è abile nella conversazione, riesce a dissimulare i suoi intenti, a convincere il re Creonte a ottenere un giorno in più prima di essere esiliata. E quel giorno basterà per compiere la sua atroce vendetta.

La Medea di Euripide non è un mostro, un essere demoniaco accecato dalle passioni, ma appare molto umana. Una donna emotiva e passionale, anche feroce nella sua vendetta, ma con delle crepe, scossa da dubbi, da esitazioni che la fanno quasi desistere. Il sentimento materno la strazia, il pensiero di uccidere i suoi amati figli la dilania, ma... si sente quasi costretta a farlo, pur essendo consapevole di andare incontro a una infelicità definitiva e terribile. Medea è quindi debole e forte insieme, scossa da una continua lotta tra la razionalità e le sue passioni, la sua emotività.

Fra tutti quanti sono animati ed hanno un intelletto noi donne siamo la specie più sventurata; per prima cosa dobbiamo, con gran dispendio di beni, comprarci uno sposo e prenderci un padrone del nostro corpo; questo è un male ancor più doloroso dell'altro. E in questo c'è un rischio gravissimo: se il marito lo si prende cattivo oppure buono. Per noi donne, infatti, la separazione è un disonore, né si può ripudiare lo sposo.  

Lo sguardo di Euripide quindi non è volto a condannarla completamente. Non c'è giustificazione per i suoi crimini, ma un invito ad ascoltarla, ad indagare il suo cuore, le sue emozioni.
Ed è per questo che ho molo amato quest'opera rispetto a quella di Seneca.

Non riesci e non puoi ovviamente a giustificare un atto talmente mostruoso come l'uccisione di vittime innocenti, soprattutto i figli, ma allo stesso tempo non sei capace di condannarla del tutto.

Medea è una donna ferita, scossa dai suoi delitti pur di vivere con l'uomo amato.
Medea è sola, senza patria, e può essere umiliata e derisa vista la sua triste situazione.
Eppure rialza la testa, a suo modo. Sì, sicuramente nella forma più terribile.

Ma è difficile disprezzarla. Anche il Coro, infatti, piange con lei e ammonisce quel Giasone, in questo caso debole e sprezzante, egoista e particolarmente odioso, che non si pente della sua scelta, e anzi, quasi crede di aver fatto un dono alla donna, portandola via da un ambiente barbaro come la sua patria, la Colchide.

Emerge così un vero e proprio contrasto interiore. È come se in lei ci fossero due donne in contrasto: la forte, padrona di sé e convinta a non lasciarsi mai piegare, e la debole che si sente sola, in terra straniera, che ha paura di essere derisa, la madre che ama i suoi figli e prova esitazione nell'ucciderli. Questo è forse l'aspetto più interessante dell'opera: l'analisi dell'io interiore scosso tra passione e raziocinio di uno dei personaggi forse più affascinanti della mitologia classica.

Medea, di Seneca

Ora sono Medea, il mio io è maturato nel male: sono lieta, sì, lieta di aver strappato la testa a mio fratello, lieta di averne segate le membra, lieta di aver spogliato mio padre della sua occulta reliquia, lieta di aver dato alle figlie un'arma contro il vecchio genitore.  

Nella Medea di Seneca, invece, la donna ha sin da subito un'aurea totalmente malvagia. Discendente di Circe, adoratrice di Ecate, appare come una maga dal carattere demoniaco, pronta a invocare gli Dei nella sua azione di vendetta. Medea è quindi condannata con ferocia dall'autore, perché si lascia totalmente rapire dalle sue passioni. Non c'è pietà per lei. Perché non usa la razionalità, ma cade in una spirale di oscurità, scegliendo da sola la sua perdizione.
Mentre nella Medea di Euripide, la donna uccide i suoi figli di nascosto, non davanti a Giasone né al pubblico, anche se noi spettatori sentiamo i lamenti dei poveri infanti, Seneca sceglie di farle compiere il delitto alla luce del sole. Tutti possono vederla uccidere i bambini, anche Giasone, che cerca invano di proteggerli.
Altra differenza sta nella visione stessa dell'uomo, che qui appare angosciato per la sua scelta, quasi che fosse stato costretto per amore dei figli. E il Coro lo approva, anche per essersi liberato di quella donna per cui non va provato alcun senso di pietà.

Quello che può colpire di quest'opera è la descrizione di un personaggio che definirei oscuro, malvagio. Ma, con sincerità ammetto che non sono riuscita a condividere la sua visione. Il bello delle opere è anche provare emozioni diverse, differenti opinioni. No?

Ancora una volta l'opera classica è capace di parlare al presente.
Medea - almeno quella di Euripide - diventa non solo un simbolo di emancipazione femminile, della donna che osa ribellarsi al potere dell'uomo, ma anche riflesso dello straniero, disprezzato, deriso, esiliato.
Una figura complessa che non può non affascinare.
Per lei provi pietà, ma anche ammirazione. C'è disgusto per l'atto di infanticidio, ma anche una sorta di comprensione per la sua disperazione.
È ovvio che non puoi giustificarla, ma... puoi ascoltarla.


Medea, di Euripide e Seneca
Casa Editrice:
Traduzione di: Ester Cerbo e Alfonso Traina
Pagine: 101
Prezzo: 4,99 euro (titolo reperito in biblioteca)
Anno di pubblicazione: 2005

Voto: ♥♥♥♥.5

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