Chernobyl 01:23:40. La storia vera del disastro nucleare che ha sconvolto il mondo, di Andrew Leatherbarrow - Recensione

23 set 2020

Libri

Sono nata nel 1986, quasi sei mesi dopo il disastro nucleare di Chernobyl.
Forse è anche per tal motivo che questo dramma storico mi ha profondamente scossa, e continua ancora oggi a spingermi a saperne di più, conoscere, approfondire.
Qualche mese fa ho finalmente visto la serie tv ispirata proprio a questo libro e alla tragedia, e ne sono rimasta sconvolta, profondamente arrabbiata.
Perché come al solito è l'uomo la rovina di tutto, non solo per la scarsa attenzione che viene messa nel lavoro, ma anche e soprattutto perché pervaso dal desiderio di primeggiare nel mondo, di insabbiare tutto ciò che non va, anche a discapito delle persone, incuranti del dolore, della morte, facendosi spesso spregio di un sacrificio.

Per tale motivo ho deciso di chiedere alla casa editrice Salani il libro “Chernobyl 01:23:40. La storia vera del disastro nucleare che ha sconvolto il mondo” di Andrew Leatherbarrow, e ringrazio molto Riccardo Barbagallo dell'ufficio stampa per avermi concesso la possibilità di leggerlo.
Ci ho messo un po' perché volevo prendere il tempo per assimilare tutto, e anche perché, diciamolo, è uno di quei libri che fa male, e che va letto a piccole dosi, a mio parere.

Alle ore 01:23:40 del 26 aprile 1986 il trentaduenne Aleksandr Akimov prese la sua fatale decisione e annunciò che stava per schiacciare il pulsante di emergenza EPS-5 per avviare una procedura SCRAM, ovvero l’arresto di emergenza del reattore, con cui le restanti barre di controllo avrebbero iniziato la loro lenta discesa nel nucleo.24 Fu una decisione che avrebbe cambiato il corso della storia.

(c) Una Valigia Ricca di Sogni.

In questo saggio l’autore cerca di donarci una panoramica storica sui fatti accaduti prima, durante e dopo la tragedia di Chernobyl. Partendo da una spiegazione sull’energia nucleare, sulla scoperta delle radiazioni, e sulle prime costruzioni delle centrali nel mondo, si sofferma poi su Chernobyl stessa. Leatherbarrow, dopo anni di ricerche e grazie all’ausilio di numerose fonti – altri libri a tema, interviste ad alcune persone che hanno lavorato lì, e ulteriore materiale –, cerca di ricostruire un percorso storico e tecnico, ponendo però anche una particolare attenzione su tutti quegli uomini e donne che si sono sacrificati per un senso del dovere e che hanno contribuito a salvare l’umanità, frenando in qualche modo un disastro che avrebbe potuto avere una portata molto più ampia e terribile.

Ai fatti storici, si alterna di capitolo in capitolo, anche la sua esperienza diretta: la descrizione del suo viaggio nella Zona di Esclusione di Chernobyl e Pripyat nel 2011. Un’opportunità preziosa per poter vedere con i suoi occhi gli effetti di quella tragedia. Quanto la zona sia cambiata, quel che è rimasto, le conseguenze di un errore umano, ma anche dell’assurda idea di insabbiare tutto, di non seguire le norme di sicurezza, per una ragione assurda e folle: quella di dimostrare di essere migliori di altri, che l’URSS non potesse commettere sbagli.

Siamo, del resto, nel pieno clima della guerra fredda, e l’URSS non avrebbe voluto dimostrarsi inferiore all’America. Tante scelte hanno portato alla morte di molti innocenti, pronti a sacrificarsi, a fare il loro dovere spesso non percependo neanche la gravità di quanto accaduto. Persone ignare del pericolo, che nonostante tutto hanno deciso di compiere il loro lavoro, anche a costo della propria salute o, ancor peggio, della vita.

Questo testo è da un lato molto interessante nella sua parte storica. Nonostante non sia sempre facile da leggere, soprattutto nelle spiegazioni più tecniche di come funziona una centrale nucleare – perlomeno a me è risultato un po’ complesso, seppur l’autore abbia voluto semplificarlo – è utile leggerlo per comprendere quello che è accaduto veramente, ma anche l’importanza di svolgere certi lavori in modo sicuro, attento, scrupoloso, anziché compiere scelte solo per non perdere il posto, o la faccia, o il potere politico.


Per chi ha visto la serie tv ci sono moltissime descrizioni che ritroverete nelle tristissime immagini televisive: dall’errore tecnico di due giovani operatori, alla sfrontatezza di un capo reparto che se ne frega della sicurezza e vuole portare avanti comunque il test, a tutte le operazioni di decontaminazione compiute dai liquidatori che indossavano indumenti protettivi inadeguati, dalla rimozione dei detriti radioattivi – compiuta da diversi uomini (i bio-robot) in pochi secondi per non assorbire una dose letale di radiazioni, fino anche all’eliminazione fisica degli animali domestici che non potevano essere portati via da Chernobyl, perché ormai contaminati e pericolosi. Impresse restano anche le scene dei vigili del fuoco, anch’essi equipaggiati male, che tentarono di fermare le fiamme, non sapendo minimamente di rischiare la vita; ma anche dei tre volontari che scesero nel seminterrato allagato radioattivo del famoso Reattore Unità 4.

Ma non solo, ovviamente si dà luce anche al processo, e alla conferenza con l’AIEA. All’opera di una commissione di funzionari del partito comunista guidata da Boris Ščerbina, e di scienziati, il cui più famoso e ricordato è senz’altro Valerij Legasov.

Il problema principale che risulta in questo saggio e sull’analisi di questa triste pagina di storia che ha riflessi anche nel nostro presente – basti pensare che lì le radiazioni ci sono ancora e resteranno per moltissimi anni, così come le conseguenti malattie – sta nel fatto che si diede la colpa solo agli operai della Centrale. Alcuni morirono, altri furono licenziati. Agli occhi del mondo fu mostrata una versione unica: l’errore era umano, e degli addetti ai lavori di quel turno notturno. Fine.

Ma non fu così semplice.

I reattori di Chernobyl, infatti, avevano un difetto in fase di progettazione. Si trattava di quattro Reaktor Bolšoj Moščnosti Kanalnyj-1000 (RBMK-1000):

“…ovvero reattori di grande potenza a canali, in grado di produrre 1.000 megawatt di energia elettrica tramite due turbogeneratori a vapore da 500MW. L’RBMK-1000 è un reattore raffreddato ad acqua con moderazione a grafite, una combinazione insolita e un po’ obsoleta che era stata progettata negli anni Sessanta per essere potente, veloce, economica e facile da costruire, di semplice manutenzione e lunga durata. Ogni reattore misurava 7 metri di altezza per 11,8 metri di larghezza.

Il reattore nucleare di Chernobyl non rispondeva alle norme di sicurezza: per evitare fughe radioattive doveva essere costruito secondo il principio della ‘difesa in profondità’, ossia protetto da quattro barriere. Alla centrale nucleare di Chernobyl ne mancavano due su quattro: il recipiente di pressione, e l’edificio di contenimento.

Oltre a ciò, per molto tempo, incidenti avvenuti in altre centrali nucleari sovietiche furono nascosti per non creare allarmi, all’apparenza, ma soprattutto per una questione di immagine politica: le loro tecnologie dovevano essere infallibili.

La notte del 26 aprile 1986 doveva essere effettuato un test di collaudo, di fronte al quale, però, gli addetti del turno serale non erano preparati. Le istruzioni per il test lasciate agli operatori del turno di notte erano piene di annotazioni e modifiche aggiunte a mano.

Negligenza, paura di perdere il posto, scelte inopportune, furono sì la causa dello scoppio del reattore nucleare, ma se tutto fosse stato costruito a norma, sicuramente tutto ciò non sarebbe successo, o non sarebbe stato così grave.

Chernobyl è una lettura che fa male, ma che trasmette anche tanta rabbia.
Non è un libro facile da leggere, anche e soprattutto perché ci sono descrizioni dettagliate sugli effetti delle radiazioni sul corpo umano. Ci sono pagine dure e consapevolezze che fanno venir voglia di gridare di fronte alla stupidità umana, a questa urgenza dei governi di pensare solo al potere anziché alla vite umane. È una di quelle pagine di storia che non devono essere dimenticate, soprattutto perché ancora oggi gli effetti si avvertono.

Personalmente ho provato molta rabbia, tristezza, ma anche in un certo senso ammirazione per quegli uomini e donne che si sono immolati per salvare il mondo da una catastrofe che poteva essere molto più ampia. Esseri umani pronti a seguire il proprio dovere, anche con strumenti e protezioni non adatte, che in seguito furono quasi dimenticati. Proprio per questo ho apprezzato questo libro: per la voglia di ridare voce a queste persone, per non dimenticarle, e anzi forse in un certo senso ringraziarle per quanto hanno fatto.

La parte in cui descrive il suo viaggio a Chernobyl e nella vicina Pripyat è quella che mi ha fatto un po’ storcere il naso. Se da un lato ho apprezzato le descrizioni di come sono quei luoghi ora, in cui tutto sembra fermo per sempre a quel terribile giorno, a una vita ormai dimenticata (pensate che la famosa Ruota panoramica non fu mai avviata, visto che era stata costruita per la Fiera del primo maggio), dall’altro lato ci sono state molte cose che non ho gradito. Informazioni per me inutili: dalla difficoltà nel fare foto, dalla frustrazione nel non riuscire a farle nel modo giusto, da riferimenti a giochi o altre esperienze, che a mio parere – quindi si tratta di un gusto soggettivo – sono davvero inutili e allontanano un po’ dal tema, non coinvolgendo del tutto il lettore, che si sente un po’ perso, stranito.

Inoltre, questo alternare i capitoli tra Storia ed Esperienza personale, non mi è piaciuto molto. Ti fa un po’ distrarre. Sarebbe stato meglio avere il libro diviso in due parti: una prima su tutti i fatti accaduti – che del resto sono stati la cosa più interessante – e poi una seconda parte sulla sua esperienza da “turista” in quei luoghi, dando però un’attenzione ancor più profonda a quanto ha visto – a me tutto ciò non è sempre arrivato -. Belle però sono quelle benedette foto – che cita troppo spesso – e che ti trasportano un po’ con sé in quei luoghi dove la natura sta riprendendo il suo spazio, anche se in forme forse un po’ diverse e inquietanti – come la Foresta Rossa -.

Nel libro sono citati diversi nomi, che non restano più numeri, ma diventano davvero persone che hanno sacrificato se stesse per un obiettivo più alto, e si può dire per salvarci. Volontari, spesso appena trentenni, o anche anziani disposti a morire per salvare i più giovani. Uomini e donne che in seguito sono state anche vittime di un vero e proprio stigma sociale, tenute a distanza a causa di una paura insensata e pregiudiziale delle radiazione e molte aziende rifiutano di assumerle.

Alcune ricevono una pensione governativa, ma si tratta di un numero ridotto e in rapida diminuzione. Chi è tornato nella Zona di esclusione negli anni successivi all’incidente, nonostante sia ancora pericoloso abitarci, sostiene di esservi stato costretto dalla difficoltà a essere accettato altrove.

Concludendo, secondo me resta comunque un saggio interessante, da leggere se si vuole conoscere in maniera più approfondita la realtà di Chernobyl, le vere colpe, quanto è accaduto. Se si vuole riflettere sull’importanza che si dovrebbe dare alla sicurezza sul lavoro, e soprattutto su certe realtà che potrebbero creare dei disastri di portata mondiale.

Chernobyl 01:23:40. La storia vera del disastro nucleare che ha sconvolto il mondo, di Andrew Leatherbarrow

Traduzione di: Irene Annoni, Rachele Salerno e Carlotta Turrini
Casa Editrice: Salani
Pagine: 272
Prezzo: 15,90 euro
Anno di pubblicazione: 2019

Voto: ♥♥♥.25

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