Il ricordo dei nostri nove mesi passati nel campo è quello di un'apparente normalità. Intendiamoci, una normalità costruita solo nella nostra mente. Due bambine sole, in un posto sconosciuto, insieme con adulti mai visti prima. La paura sarà stata inevitabile. Ma nel nostro ricordo è stata sostituita da quel senso di normalità che spesso i piccoli si costruiscono per proteggersi davanti agli avvenimenti più brutti, agli imprevisti.
Un anno fa sono stata al Salone del libro di Torino e ho potuto assistere alla testimonianza di Tatiana Bucci. È un momento rimasto impresso nella mia mente, che si è radicato un po' sottopelle, e che non credo potrò mai dimenticare. Ho sempre provato molto interesse nel conoscere e approfondire certi aspetti della storia, soprattutto i più tragici. Non perché sia pazza, bensì perché sono dell'idea che non si debba mai dimenticare i periodi più bui della storia, che purtroppo si ripetono... ancora oggi. Bisogna leggere, ascoltare, guardare, conoscere, affinché l'odio e l'ignoranza dilaganti non colpiscano anche te.
Come dicevo in un post precedente, io ho avuto la fortuna di essere informata su certi eventi sin dall'infanzia, quando durante l'ultimo anno delle elementari abbiamo affrontato il tema della Resistenza Italiana contro il Nazi-Fascismo. E da allora, non ho mai smesso di informarmi, anche se sto cercando di recuperare molto di più ora, divorando libri di testimonianze, e cercando di riempire quelle lacune che ho. Non smetterò mai di farlo, MAI. Non solo per una questione personale, ma anche come una sorta di rispetto per tutte quelle persone morte o che continuano a morire a causa dell'odio e della crudeltà umana. Non sono coraggiosa, ma... se riuscissi anche solo a far interessare chi mi legge a questi argomenti, mi sentirò una piccola ma importante goccia in questo mare di persone che scelgono di non dimenticare e soprattutto di credere che sia successo, e di non ripetere - anche se purtroppo, esistono ancora lager simili, seppur cerchino di chiuderci gli occhi... -.
Comunque, tornando a quel giorno al Salone del Libro, ricordo che alla conclusione avevo le lacrime e nel mio cuore, come sempre accade quando ascolto certi argomenti, affioravano mille Perché? Perché far del male ad altri essere umani? Come puoi aver il coraggio di strappare bambini ai proprio genitori, spedirli in una baracca, al freddo, con poco squallido cibo, e portarli ancora una volta via con l'inganno, facendo credere loro di rivedere la propria mamma, quando in verità saranno usati come cavie umane per esperimenti? Come puoi far così del male? Come puoi guardarli negli occhi e commettere simili atrocità?
Ascoltare Tatiana è stato importante, ma mi ha messo addosso una tristezza infinita. Vedere quel coraggio di ricordare e trasmettere la sua esperienza a tutti noi, sentirla parlare non solo di sua sorella, di sua madre, di sua nonna, ma anche e soprattutto del piccolo Sergio, il loro cuginetto ucciso in maniera macabra, mi ha strappato un pezzo di cuore. E immagino la paura di questi sopravvissuti nel veder tornare nei nostri anni certe forme di nazismo e fascismo, la paura, la mancanza di rispetto per gli altri, quelle scritte sui muri, quell'odio ingiustificabile per il diverso, quei numeri allarmanti di chi non crede che certi avvenimenti siano davvero accaduti. Tante cose che fanno male a noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere in un'epoca diversa, quindi non oso immaginare quello che possano davvero provare loro...
Si sostiene che vennero deportati 230.000 bambini/adolescenti ad Auschwitz-Birkenau, e pochissimi riuscirono a sopravvivere. Molti dei più piccoli venivano direttamente condotti nelle camere a gas al loro arrivo, altri venivano selezionati per lavori duri, o per essere usati come cavie per assurdi “esperimenti medici” e poi lasciati morire quando ormai non servivano più. Pochissimi bambini/ragazzi riuscirono a sopravvivere, a tornare a casa, spesso avendo perso quasi tutta la loro famiglia.
Tra i tanti bambini, c'erano anche loro, Andra e Tati, salve forse per fortuna, forse per destino. E che ora sono qui che continuano a ricordare, per far aprire gli occhi, per far comprendere che quelle cose sono accadute realmente, e che è terribile pensare che possano tornare.
Noi, bambine ad Auschwitz è la testimonianza di due sorelle: Andra e Liliana (detta Tatiana) Bucci, che all'età di 5 e 7 anni furono arrestate con tutta la loro famiglia (ad eccezione del padre - si trovava in un campo di prigionia vicino a Johannesburg), furono rinchiuse per diversi giorni in una cella della Risiera di San Sabba a Trieste, e poi trasportate ad Auschwitz, dove arrivarono il 4 aprile del 1944. Qui, non si sa bene il motivo, ma forse perché scambiate per gemelle - o perché non del tutto ebree (il padre era infatti cattolico) - riescono a sfuggire alla camera a gas e vengono chiuse nel Kinderblock 1, insieme ad altri bambini, tra cui il loro cuginetto Sergio. Straziante è l'immagine della nonna Rosa, che al momento dell'arresto, s'inginocchia a terra, nella speranza di salvare la vita dei suoi piccoli nipoti, invano. O quella della separazione con lei e zia Sonia, portate subito a morire.
Separate dalla loro mamma, seppur riusciranno a vederla in qualche occasione, le bambine sembrano vivere una vita apparentemente normale, se così si può dire. Sono molto piccole, forse non capiscono la gravità, o forse semplicemente si “adattano” a una situazione che diventa giorno dopo giorno la loro vita, a quella baracca fredda, quegli abiti non adatti ai loro corpi e così leggeri, a quegli spettrali mucchi di cadaveri posti in un angolo, e quel camino da cui ogni ebreo finirà per uscire. I ricordi di Andra e Tatiana sono nebulosi, hanno come dei flash, alcuni nitidi, altri meno. Non è un racconto del tutto lineare, ma tante importanti immagini di un'esperienza troppo tragica per bambine così piccole. Tra le più importanti e significative ne menzionerei tre, solo per far comprendere: la frase che faceva sempre ripetere la loro madre - donna molto forte, che si impegnerà sin da subito per sopravvivere e aiutare le sue piccole - “Ricordati il tuo nome è Liliana Bucci. Ricordati il tuo nome è Andra Bucci”. Un monito molto importante, sia per non perdere la propria essenza, e umanità, sia per il futuro. L'importanza forte del nome, in un mondo in cui giorno dopo giorno si cercava di ridurre l'uomo a essere il nulla, alla disumanizzazione dell'individuo.
La difficoltà di due bambine così piccine di accettare una madre così diversa: emaciata, magrissima, senza capelli. Entrambe provavano una sorta di paura per lei, che impediva loro di riuscire a donarle il giusto affetto, provando quasi una sorta di rifiuto.
Nel nostro ricordo c'è anche la paura: facevamo fatica ad accettarla così diversa. Una paura che ci spingeva in qualche modo a rifiutarla, che ci rendeva difficile lasciarci andare e riuscire ad abbracciarla, un po' come quando i bambini vogliono fare sentire in colpa i grandi. Sicuramente lei ne avrà sofferto, ma avrà anche capito che la nostra non era una condizione ordinaria.
E, infine, la straziante immagine della sorte di Sergio. Josef Mengele è il nome di un tristemente noto medico criminale nazista. Le sue azioni soprattutto nei confronti dei bambini, non possono essere dimenticate. Ma non era il solo. Infatti, si dice che fu lui a fare quella domanda subdola verso i bambini, per poter selezionare 10 bambini e 10 bambine da consegnare a Heissmeyer per i suoi assurdi esperimenti sulla tubercolosi. Alla domanda “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti” (a tal proposito, prima o poi vorrei recuperare un libro che affronta proprio questo avvenimento straziante: Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti, di Maria Pia Bernicchia) molti di loro lo fecero, tra qui Sergio. Andra e Tatiana erano state avvertite di non farlo dalla blockova, la guardiana della baracca che sembrava volerle sempre proteggere, e cercarono di salvare anche il loro cuginetto. Ma... come puoi fare una domanda simile a un bambino così piccolo? È ovvio che i bambini vogliano stare con la loro mamma, con i loro genitori. E quel passo, quel maledetto passo avanti, è stato il principio della fine per quelle povere anime (di età compresa tra i 5 e i 12 anni). Portati al campo di Concentramento di Neuengamme nei pressi di Amburgo, furono sottoposti a esperimenti assurdi: vennero loro iniettati bacilli tubercolari sottopelle, e poi furono asportati i linfonodi localizzati nella zona ascellare che, secondo le teorie del medico-assassino, avrebbero dovuto produrre anticorpi contro la tubercolosi. Quasi alla fine della guerra, per nascondere tutte le prove, i bambini e altri adulti, furono trasferiti nella Scuola di Bullenhuser Damm, e qui, nel seminterrato, dopo aver iniettato una dose di morfina a ciascuno di loro, furono appesi per il collo a dei ganci, come “quadri alle pareti” - da una confessione di Johann Framm, uno degli esecutori -.
Ricordo ancora quando Tatiana ha cercato di trasmettere questa immagine. Lì davvero ero ancora più scossa e non riuscivo a trattenere le lacrime. Come si può fare qualcosa del genere e anche molto peggio? Come?! Tra queste pagine si legge tutto il loro rimpianto per non essere riuscite a salvarlo, in qualche modo.
La testimonianza di questo libro comunque non si limita solo al Campo. Tatiana e Andra cercano di descrivere anche quelli che furono gli anni successivi: dall'esperienza - non proprio positiva - dell'orfanotrofio a Praga, a un periodo più bello e roseo in Inghilterra, presso Lingfield House, dove le due bambine poterono ritrovare la bellezza dell'infanzia. Ma ci sono anche i ricordi del loro ritorno in Italia, dell'incontro con i loro genitori ancora vivi, del trasferimento da Fiume a Trieste a causa del regime comunista di Tito; e ancora l'adolescenza, le loro vite di mogli e madri, e il loro cammino nel ricordare quello che era accaduto, attraverso incontri, interviste, lezioni a studenti, e il terribile quanto necessario ritorno ad Auschwitz.
Tra le tante cose, quello che accomuna tutti i sopravvissuti, è la difficoltà nel riuscire a parlarne sin da subito. Un po' perché c'era la tendenza e la voglia di seppellire tutto, di dimenticare, di non pensarci più per poter vivere una vita normale, dall'altro lato c'era anche la difficoltà nell'essere creduti. Sì, perché nei primi anni successivi al dopoguerra, non tutti riuscivano a credere che tutto ciò fosse realmente accaduto. Solo con il tempo, finalmente, chi è riuscito a tornare a casa, ha avuto la forza di parlarne sempre di più, sempre a più persone.
E qui entriamo in gioco, a mio parere, anche noi. Quando purtroppo questi sopravvissuti non ci saranno più, non dobbiamo seppellire tutto, smettere di parlarne. Dobbiamo continuare a farlo. E non mi riferisco, ovviamente, solo alla Shoah, ma a tutte le tragedie che l'uomo ha creato e continua a farlo. Anche solo una goccia è importante.
Noi, bambine ad Auschwitz, di Andra e Tatiana Bucci Casa editrice: Mondadori Pagine: 133 Prezzo: 17 euro Voto: ♥♥♥♥