Lasciami andare, madre, di Helga Schneider - Recensione

5 feb 2020

Libri

   

Oggi ti rivedo, madre, ma con quali sentimenti? Che cosa può provare una figlia per una madre che ha rifiutato di fare la madre per entrare a far parte della scellerata organizzazione di Heinrich Himmler? Rispetto? Solo per la tua veneranda età - ma per nient'altro. E poi? Difficile dire: nulla. Dopotutto sei mia madre. Ma impossibile dire: amore. Non posso amarti, madre.

 

Ho quasi sempre letto storie dalla parte dei prigionieri nei campi di sterminio nazisti, ma è importante, a mio avviso, scoprire anche quei testi, quei ricordi e testimonianze, dall'altro punto di vista, o meglio, da quello dei tedeschi della Germania Nazista. Uno dei problemi maggiori, a mio avviso, quando si parla e si studiano le Guerre, è l'etichettare tutto in due gruppi: Buoni e Cattivi. Tedeschi cattivi, Americani buoni, per fare un esempio. Con il tempo ho imparato a comprendere che così non è. Non si può addossare la colpa di crimini a tutti gli individui di una nazione, non si può credere che i vincitori siano totalmente buoni e gli sconfitti totalmente cattivi. Bisogna conoscere, analizzare bene i contesti, e comprendere, che in verità in guerra siamo tutti un po' degli sconfitti. Perché la guerra ferisce tutti. E non ci sarà mai davvero bontà totale in chi salva le popolazioni, ma allo stesso tempo getta bombe atomiche su innocenti, solo perché figli di una nazione/impero rivale; o su chi da un lato apre i campi e libera i prigionieri, e dall'altro crea qualcosa di molto simile nel suo immenso territorio. O ancora, più di recente, su chi a lungo è stato disprezzato, umiliato, torturato, ucciso e ora... fa lo stesso con i “suoi vicini”. Sarebbe bello se le guerre non ci fossero mai state, se non ci fossero neanche oggi. Ma so che è solo un'utopia.

Per me comunque resta il fatto che ormai sono convinta che non tutti i tedeschi furono il male. Anzi, alcuni riuscirono a opporsi - andando anche incontro alla morte -, altri aiutarono ebrei e altri prigionieri anche a rischio della loro vita. Dall'altra parte i tedeschi/nazisti non furono da soli a mandare avanti questa scia di morte, ma molte volte trovarono la collaborazione di fascisti, ma anche di individui presenti nelle nazioni occupate (penso al Velodromo d'Inverno, al quale contribuirono i poliziotti francesi, ma anche ai campi di prigionia presenti sul nostro territorio italiano come quello di Servigliano o di Fossoli, o altro ancora).

Questa premessa per dire che non si può addossare tutto a ogni individuo di una nazione, etichettare tutti in un certo modo. La guerra fa schifo e a subirne gli effetti sono sempre gli innocenti.

   

O invece stava rinascendo in me una piccola, stolta, speranza? Forse era cambiata; forse si era pentita; forse l'estrema vecchiaia le aveva addolcito il cuore; forse sarebbe stata perfino capace di un gesto materno.

       

davInstagram mi ha aiutata a conoscere un'altra realtà, titoli che non conoscevo, e mi sono fiondata in biblioteca per recuperarne qualcuno - per il momento -. Uno di questi è “Lasciami andare, madre” di Helga Schneider. L'ho letto più o meno in qualche ora, e non è stata - ancora una volta - una lettura facile. Accanto a dei fatti storici ben precisi, come certi esperimenti che venivano fatti nei campi di sterminio (dalle amputazioni di arti, alla sterilizzazione e alle iniezioni letali direttamente sul cuore), quello che colpisce nel profondo è proprio questo “rapporto” tra una madre e una figlia. Un legame difficile da ricostruire, nonostante il medesimo sangue scorra nelle loro vene.

Helga Schneider aveva solo 4 anni - e suo fratello Peter diciannove mesi - quando la loro madre li abbandonò per divenire una SS. Incapace di essere madre, il suo unico interesse era il potere, la profonda fedeltà verso i principi di un Regime nel quale credeva fermamente. Due bambini lasciati soli e cresciuti poi da una matrigna - Ursula - che sembra provare affetto solo per il piccino, mentre nega anche lei quel calore materno di cui Helga ha sempre avuto un profondo bisogno.

Dopo 30 anni Helga decide di rivedere sua madre. Porta con sé suo figlio Renzo, e la incontra. Ma in quell'occasione comprenderà ben presto chi sia realmente sua madre, e come non abbia mai provato alcun rimorso per quello che ha fatto, e anzi vorrebbe farle indossare quella divisa da SS di cui è profondamente orgogliosa. Helga va via. Passano altri anni, quando un'amica di sua madre, Gisela Freihorst le invia una lettera, spingendola a incontrare di nuovo la donna. Ed è così che inizia questa testimonianza. Helga racconta tra queste pagine del suo nuovo incontro con quella donna che dovrebbe essere sua madre, ma verso la quale non può provare amore. Ha paura, ansia, anche se nel suo cuore c'è sempre la speranza di scorgere un mutamento di pensiero, un qualche rimorso sincero, che possa permetterle di perdonarla in qualche modo. Sua madre ormai si avvicina ai 90 anni, vive in una casa di riposo per anziani, e alterna periodi di lucidità ad altri di confusione. Vedere quella donna ormai molto anziana e gracile, quasi una bambina mentre si addormenta, le scatena dentro emozioni contrastanti. Ma le parole della donna, estrapolate anche attraverso dei duri ricatti, gettano nuovo dolore in lei.

Aveva demandato al Führer la sovranità sui suoi sentimenti, e ancora difendeva quella sconfitta.

   

Tra queste pagine ci sono continui flashback e spiegazioni, che ci permettono di comprendere quello che è accaduto veramente in quei campi, e quanto sua madre sia stata complice in tutto ciò. Ci sono anche i suoi ricordi di bimba, maltrattata dalla matrigna, trovava conforto solo nei suoi nonni. Spedita in collegio, mai amata, mai apprezzata, tanto che Helga non è mai riuscita a chiamare né sua madre né la sua matrigna "Mutti, mamma". Helga ci permette anche di capire come era in verità la situazione della Germania durante la guerra: tutti soffrivano una fame nera, si cercava di non rispettare il coprifuoco pur di trovare del cibo, molti erano i momenti in cui nascondersi nei bunker a seguito di attacchi aerei, le macerie, le sofferenze, e l'odio anche di alcuni tedeschi verso Hitler, o anche il suo incontro con il dittatore nazista. È una visione diversa, ma molto importante.

Le parole proferite da sua madre sono forti, crude, fanno male. Provate a mettervi nei panni di Helga, ad ascoltare quella che è vostra madre dire con orgoglio di essere stata una SS, di aver obbedito agli ordini con rigore e assoluta fedeltà, di non aver dimostrato sensibilità alcuna per non apparire debole, di aver dormito sempre un sonno tranquillo nonostante a pochi passi le persone venissero torturate o uccise. Il tutto per un bene comune, un fine importante: distruggere del tutto gli esseri inferiori, coloro che erano colpevoli della sconfitta nella prima guerra mondiale, di un continuo disfattismo verso la Germania e chissà quali altri crimini.

   

«Non sono stata io a decidere la soluzione finale», replica sulla difensiva «io ho solo obbedito agli ordini. Dovevo tener fede al mio giuramento, e il giuramento è sacro. E voglio dirti un'altra cosa, e se non vuoi credermi fa lo stesso. Tra i miei camerati delle SS ho conosciuto persone intelligenti, colte, responsabili, ottimi padri di famiglia come Rudolf Höss... uomini d'onore... uomini indimenticabili...»

Uomini d'onore... amanti della natura, del focolare domestico, degli animali... l'oleografia nazista in tutto il suo Kitsch più nauseabondo.        

Provare a mettermi nei suoi panni è stato difficile, per questo sento questo testo molto importante, molto forte, ma ancora una volta necessario. Il rapporto tra una madre e una figlia è qualcosa di meraviglioso, io mi sento molto legata alla mia. Pensare di avere una madre come quella di Helga dà i brividi. E ti chiedi insieme a lei cosa provare davvero: odio? Nulla? È pur sempre sangue del tuo sangue. Ma non puoi amarla. Non puoi. L'ha abbandonata quando era piccolissima, l'ha ritenuta morta, non ha mai dimostrato un briciolo d'affetto per lei, suo fratello, suo figlio. Come può chiamarla madre?

Quello che mi ha colpito, inoltre, è quando sua madre parla di un “addestramento di disumanizzazione”, una desensibilizzazione alle atrocità alle quali sono chiamati a commettere. Effettivamente mi sono sempre domandata come possano aver avuto il coraggio (anche se direi più viltà) - e come possano farlo anche oggi - di commettere certi crimini: dalle torture, agli esperimenti atroci, o anche la capacità di spedire in camere a gas non solo adulti, ma anche bambini e neonati. Come può, soprattutto una madre, accettare di veder morire dei neonati tra le braccia delle proprie mamme? Come non si può provare un sentimento di nausea, rabbia, disprezzo per ciò che viene loro comandato? Fu fatto loro un vero e proprio lavaggio del cervello, o in fondo nell'animo umano esiste davvero una componente talmente malvagia da accettare tutto in vista di un progetto ben preciso?

Non lo so. Io personalmente non lo capirò mai.

L'altro aspetto che mi ha sorpreso è che sua madre dice di aver continuato a leggere molto durante quel suo “lavoro” nei campi di sterminio. Sintomo che non per forza solo le persone ignoranti e deboli possano essere assoggettate a un regime, bensì anche le persone più colte. E questo fa ancor più male, mette ancora più i brividi.

È un libro molto forte, che segna profondamente. Ma a mio avviso va letto, non solo per conoscere un'altra faccia, un'altra visione di quegli eventi tragici, ma anche per riflettere sulla difficoltà di un rapporto madre-figlia.

Leggerò sicuramente altro di lei.

         
lasciamiandaremadre Lasciami andare, madre di Helga Schneider Casa Editrice: Adelphi Pagine: 130 Prezzo: / libro preso in biblioteca Voto: ♥♥♥♥
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