La notte, di Elie Wiesel - Recensione

6 feb 2020

Libri

   

Sì, ultimamente sto leggendo e condividendo i miei pensieri sempre sullo stesso tema, ma avevo voglia di recuperare queste letture, anche se dopo questa mi fermo per un po'. Un lasso di tempo breve, credo, anche perché entro l'anno voglio assolutamente colmare la mia più grande lacuna, e quindi leggere Se questo è un uomo e La tregua di Primo Levi, e rileggere con più attenzione il Diario di Anne Frank. (Ma sul kindle ho altri due titoli che vorrei leggere, quindi, ve ne parlerò ancora!).

Leggere libri sui genocidi non è facile. Però lo ritengo necessario, almeno per me. Come già detto, io voglio informarmi, conoscere, sapere, comprendere. E continuerò a farlo. Ho già segnato molti titoli da recuperare in biblioteca (devo solo trovare il tempo!), in modo tale da informarmi meglio anche su altri genocidi (dalle foibe, al Ruanda, dai voli della morte, al massacro di Srebrenica, dalle Comfort women alla Generazione rubata... ce ne sono tanti di argomenti che conosco in maniera forse un po' superficiale).

Allegria, insomma, no?

Ma per un po' mi calmo. Non prometto però di leggere libri allegri, perché quelli che mi fanno piangere son i miei preferiti.

Anche per questo libro devo ringraziare l'instagram, soprattutto Valentina (@imieiamicidicarta) perché ammetto di non averne mai sentito parlare. In poco più di cento pagine c'è talmente tanto che ti spezza il cuore.

 

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

     

davLa notte, di Elie Wiesel è una testimonianza, un'autobiografia, di quello che era solo un ragazzo, e che ha dovuto affrontare - come molti altri - sofferenze indicibili, separazioni, fame, freddo, morte, ma soprattutto la difficoltà di restare umani in una situazione terribile come quella dei campi di sterminio e un lento ma inesorabile viaggio verso la perdita della fede in Dio, nel quale credeva profondamente. Sta forse qui quel qualcosa che rende questa testimonianza un po' diversa, ma ugualmente profonda e importante.

Elie (Eliezer) Wiesel racconta di ciò che accadde dal 1941 fino alla liberazione dei campi. Viveva nella comunità di Sighet, piccola città della Transilvania, ed era una sorta di eletto di dio, un ragazzo di soli dodici anni (nel 41), profondamente credente, alle prese con lo studio del Talmund e la frequentazione della sinagoga. Il suo interesse verteva anche sulla conoscenza e lo studio della Cabala. A Sighet si aveva una vita ancora tranquilla, nonostante le tante voci che provenivano dalla Guerra. Si viveva in una sorta di indifferenza, forse, ma anche illusione, che continua nonostante l'arrivo dei Tedeschi in città.

Nel 1944, infatti, quello che si pensava lontano, giunge anche in quella piccola città: arrivano i tedeschi, ma la prima impressione che donano è molto rassicurante. Sembrano educati, rispettosi, fino a quando una serie di eventi spezza un po' quella vita apparentemente tranquilla. Con la complicità della polizia ungherese, vengono arrestati i capi della comunità ebraica, s'instaura un coprifuoco, c'è la confisca dei beni preziosi e risparmi degli ebrei che sono anche chiamati a indossare una stella gialla sulle loro vesti, e poi la chiusura all'interno di due ghetti. Anche in questa situazione però, gli ebrei sembrano continuare a cullarsi in questa illusione di riuscire a vivere. Si sentono quasi bene, perché vivevano tra ebrei, tra fratelli.

     

Passavano davanti a me, uno dopo l'altro, i maestri, gli amici, gli altri, tutti coloro di cui avevo avuto paura, tutti coloro di cui un giorno avevo potuto ridere, tutti coloro con i quali avevo vissuto per anni. Se ne andavano decaduti, trascinando il loro sacco, trascinando la loro vita, abbandonando il paese natale e i loro anni d'infanzia, curvi come cani bastonati.

     

Ma la Storia è diversa. Infatti, anche per loro arriva la deportazione nel campo di Auschwitz-Birkenau. Stipati in carri di bestiame, senza cibo né acqua, né la possibilità di muoversi e con poca aria, arrivano infine in questo campo che non conoscono. Nessuno sa cosa accadrà. Scendono. Le donne vengono separate dagli uomini, le famiglie separate. E ha inizio così il periodo più duro, il primo importante passo verso quella perdita della Fede in cui aveva sempre creduto Elie.

Sin dal primo arrivo due visioni resteranno indelebili nella sua memoria: la separazione da sua madre e le sue sorelle - toccante la descrizione della sorellina che non vedrà mai più - e poi un'immagine terribile anche da descrivere: un autocarro carico di bambini. Bambini, neonati, dati alle fiamme. Come si può credere ancora in Dio? Dov'è quel Dio tanto adorato in quel momento? Per Elie e gli altri ebrei - e tutti i prigionieri - inizia una vera e propria discesa agli inferi dell'umanità, un lento ma inesorabile viaggio verso la perdita della fede. Ci sono molte immagini forti che scatenano sdegno, rabbia, tristezza, e che sono un vero pugno nello stomaco. Una scrittura asciutta ma tagliente, cruda, che ti fa provare quella paura, quel dolore.

Ci sono diversi aspetti che restano impressi: da un lato resti sconvolta nell'immaginare delle ragazze tedesche che, incuranti di quegli uomini prigionieri che marciano verso un altro campo, ridevano, scherzavano e amoreggiavano con i carnefici; dall'altro resti senza fiato quando viene descritto l'obbligo di guardare in faccia i prigionieri giustiziati, impiccati, soprattutto quando ti trovi davanti gli occhi di un ragazzo. Immedesimarsi in lui, nel dover restare fermo a fissare l'immagine di un ragazzo, del supplizio che sta provando, fa male. Un male assurdo.

   

Più di una mezz'ora resto così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: - Dov'è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: - Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca.

     

È un'immagine forte, e un pensiero importante. È come se quel Dio in cui credeva fermamente fosse davvero morto per lui, nel suo cuore. L'importanza di tale testimonianza sta proprio in questo domandarsi sempre più frequente come si potesse elogiarlo ancora, come si potesse pregarlo, benedirlo, ringraziarlo, di fronte a tutto quell'orrore che stavano vivendo. Come può esistere un Dio? Questo suo “moto di ribellione” si riflette anche nella scelta di non seguire più i riti ebraici, come il digiuno. No, Elie si rifiuta. Si ribella. Non si riconosce più in quel Dio a cui con tanto amore si rivolgeva in passato. È solo un ragazzo, poco più che un bambino, e nella sua anima quel Dio amato muore quando scopre il male assoluto.

     

Ma perché, ma perché benedirLo? Tutte le mie fibre si rivoltavano. Per aver fatto bruciare migliaia di bambini nelle fosse? Per aver fatto funzionare sei crematori giorno e notte, anche di sabato e nei giorni di festa? Per aver creato nella sua grande potenza Auschwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche della morte? Come avrei voluto dirGli: «Benedetto Tu sia, o Signore, Re dell'Universo, che ci hai eletto fra i popoli per venir torturati giorno e notte, per vedere i nostri padri, le nostre madri, i nostri fratelli finire al crematorio? Sia lodato il Tuo Santo Nome, Tu che ci hai scelto per essere sgozzati sul Tuo altare?»

     

Parole forti. Sì. Ma comprensibili, a mio modesto avviso. Quante volte del resto anche noi ci siamo chiesti dove fosse Dio di fronte a certe morti, a certi orrori che continuano ancora oggi? Dov'è questo Dio amorevole di fronte a un bambino malato, o a una etnia che viene spezzata con crudeltà? Dov'è di fronte a quei tanti morti in mare, a quei corpi senza vita di bambini sulle rive? Dov'è questo Dio di fronte a tutto il dolore e alla sofferenza dell'umanità?

Già. Dove è? Come può permettere che tutto ciò accada? Molte volte si rispondere che ci ha donato il libero arbitrio. È l'uomo che sceglie. Ma se davvero questo Dio esiste, non si comprende. (Sull'argomento però mi fermo qui, perché ho una mia visione delle cose, e non voglio alterare la vostra).

Altro elemento fondamentale è il legame con il padre.

   

Un solo pensiero: non perderlo. Non restare solo.

   

Sin da subito Elie sa che non vuole perderlo di vista, non vuole allontanarsi da lui, e farà anche di tutto per sostenerlo, in più di un'occasione. Pian piano i loro ruoli s'invertono. Elie è solo un ragazzo, ma si ritroverà a prendersi cura di un padre che invecchia troppo velocemente, di una figura paterna sempre più fragile, che potrebbe risultare un peso e un pericolo per la sua sopravvivenza. Infatti, più di una volta prova un senso di colpa nel fare certi pensieri terribili, e pregherà proprio quel Dio dal quale si sta allontanando di non permettergli di abbandonare mai suo padre, di lasciarlo indietro, di ignorarlo o addirittura ucciderlo per la sua sopravvivenza - come invece fanno altri ragazzi -. Perché la fame, la disumanizzazione possono portare all'egoismo, alla chiusura dei rapporti anche con i propri familiari. È questa la difficoltà più grande: restare umani, nonostante tutto l'orrore, la sofferenza, le privazioni.

     

L'idea di morire, di non essere più, cominciava ad affascinarmi. Non esistere più, non sentire più questo terribile dolore al piede. Non sentire più nulla: né fatica, né freddo... Nulla. Saltare fuori dalla fila, lasciarsi scivolare sul margine della strada... La presenza di mio padre era l'unica cosa che mi tratteneva... Correva al mio fianco, senza fiato, allo stremo delle forze, alla fine. Io non avevo il diritto di lasciarmi morire: che avrebbe fatto senza di me? Ero il suo unico sostegno.

       

Ci sono tante altre cose in questo libro. È molto breve, io l'ho letto in poco tempo, ma così ricco di spunti, di riflessioni, di immagini forti, che davvero ti lascia dentro moltissimo. Una lettura tanto difficile, un pugno allo stomaco, tanto dolore, ma... che sono felice di aver fatto.

   

Elie Wiesel venne deportato ad Auschwitz e Buchenwald. Dopo la guerra ha fatto per alcuni anni il giornalista in Francia e poi si è trasferito negli Stati Uniti. Nel 1986 ha ricevuto il premio Nobel per la pace.

     
  lanotte La notte, di Elie Wiesel Editore: Giuntina Traduzione di Daniel Vogelmann Pagine: 112 Prezzo: 10 euro / Preso in biblioteca Voto: ♥♥♥♥♥
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