Frankenstein è uno di quei grandi classici di cui ho sempre rimandato la lettura. Non so perché. Più volte mi dicevo “ecco, ora lo leggo!” e poi sceglievo altri titoli, lo mettevo da parte, forse immaginando una storia diversa, uno stile più complicato che non mi avrebbe preso, o chissà che altro! Poi, complice una challenge su Instagram - sì, ne sto seguendo un'altra, e spero di farcela! - ho trovato quella spinta necessaria a buttarmi tra queste pagine. E che dire? L'ho amato. Sia per la storia, sia per i temi, sia per lo stile meraviglioso della Shelley, di cui vorrei leggere molto di più, e conoscere meglio la sua vita. Se avete consigli, sono ben accetti!
La challenge in questione - chiamata #Librividirc - è dedicata al mondo della letteratura gotica e del brivido in generale. È stata ideata da due ragazze: su instagram le potete trovare come @luxbookshelf e @sbarbine_che_leggono.
Il tema di gennaio era: “Un classico gotico che avresti sempre voluto leggere”, e Frankenstein è esattamente il libro giusto!
Tutti gli uomini odiano i disgraziati; quanto allora devo essere odiato io, che sono ben più miserabile di ogni cosa vivente! Anche tu, mio creatore, detesti e disprezzi me, la tua creatura, alla quale sei legato da lacci che solo l'annientamento di uno di noi potrà sciogliere. Ti proponi di uccidermi. Come osi giocare così con la vita?Fai il tuo dovere verso di me, e io adempirò al mio verso di te e il resto dell'umanità.
L'idea di quest'opera nasce nell'estate del 1816, quando quattro grandi autori, si incontrano in Villa Diodati presso il lago di Ginevra e qui si ritrovano anche a parlare di storie di fantasmi e da brividi. L'idea nasce proprio da Lord Byron che una sera esordisce con “Ognuno di noi scriverà una storia di fantasmi!”. Lord Byron, Polidori, Percy Shelley si mettono subito a creare, mentre la giovane compagna di quest'ultimo, Mary Shelley, resta molte volte in silenzio. Fino a quando una notte un incubo le da quell'input per scrivere un'opera che poi diventerà tra le più importanti e conosciute della letteratura gotica. In questo sogno, infatti, si delinea nella sua mente l'immagine di un pallido studente di arti proibite che è inginocchiato davanti a una strana creatura a cui lui stesso ha infuso la scintilla della vita. Un essere simile a un mostro, con occhi gialli, umidi, ma pieni di pensiero.
In molti, anche oggi, erroneamente pensano che Frankenstein sia il nome del mostro, ma così non è. Infatti, è il cognome del giovane scienziato che darà vita alla materia inanimata con il desiderio in un certo senso di sfidare Dio e la Natura, creando un essere più forte, più sano, più longevo. Il sottotitolo del libro è “Il Prometeo moderno”, infatti Victor Frankenstein sembra ribellarsi alla divinità come Prometeo si ribellò a Zeus, rubando il fuoco da donare agli uomini, ma anche utile a modellare queste creature.
La mia persona era orribile e la mia statura gigantesca. Che voleva dire? Chi ero io? Cos'ero io? Da dove venivo? Qual era la mia destinazione? Queste domande tornavano sempre, ma non ero capace di rispondere.
La storia inizia con delle lettere che un giovane capitano, Robert Walton, scrive alla sua amata sorella Margaret, descrivendo il suo viaggio verso il polo Nord. C'è tutta l'ambizione e l'aspirazione di un uomo di affacciarsi verso l'ignoto, in un'esperienza anche pericolosa. Giunti all'estremità dell'emisfero, però, la nave resta intrappolata tra enormi blocchi di ghiaccio, ed è in questa situazione che l'equipaggio scorge un uomo dalla statura gigantesca su una slitta trainata da cani, che però ben presto scompare. Il giorno seguente, vedono un altro uomo quasi del tutto congelato sui resti di un'altra slitta. Lo aiutano, e con il passare dei giorni si instaura una sorta di amicizia tra i due. Lo sconosciuto altri non è che Victor Frankenstein, che pian piano inizia a narrare la sua storia, partendo da un'infanzia felice all'interno di una famiglia amorevole, l'adozione di Elizabeth, l'amicizia con Clerval, passando per la perdita di sua madre, arrivando ai suoi studi di filosofia naturale presso l'Università di Ingolstadt in Germania, e il suo assurdo e imprevedibile progetto di donare vita a una creatura.
Sarà proprio questa sua follia a dare l'avvio a un serie di eventi che fanno rabbrividire il cuore, a incutere un senso di terrore, di paura, ma in verità andando avanti con la lettura, si mostreranno altre emozioni: come la compassione nei confronti del Mostro.
Non erano per me le dolci parole di Agatha e i sorrisi animati dell'affascinante araba. Non erano per me le dolci esortazioni del vecchio, e la vivace conversazione di Felix. Miserabile, mostro infelice!
Il libro è strutturato come una sorta di matrioska, se così si può dire: ci sono racconti all'interno di racconti e tutto conservato nelle lettere scritte da Walton alla sorella. Mi spiego meglio, quest'ultimo decide di custodire la testimonianza di Frankenstein e di riscrivere tutto. All'interno del racconto di Frankestein, a un certo punto, c'è anche il racconto del Mostro che incontrandosi con il suo creatore dopo aver commesso un grave delitto, decide di rivelargli tutta la sua esperienza di vita da quando lo scienziato l'ha abbandonato dopo avergli donato la vita. E qui, a mio avviso, troviamo la parte più bella di questo classico.
È qui in particolare che l'orrore dei delitti, la paura di fronte all'ignoto, al diverso, di quella Creatura capace di uccidere anche innocenti, che può apparire nel buio all'improvviso e spaventarti con il suo sorriso macabro e quegli occhi gialli e umidi, entra in contatto con la compassione.
Il “Mostro” racconta e il lettore non può far a meno di provare pietà per lui. In fondo, è il frutto di un esperimento insano, di una scelta non sua. Viene creato come un uomo, ma è simile a un bambino che non sa nulla della vita, che non sa chi è, dove si trova, che non sa parlare né leggere, e si ritrova da solo al mondo, abbandonato da una figura “paterna” che prima lo ha creato e poi abbandonato. Cerca di entrare in contatto con gli altri esseri umani così differenti da lui, ma ogni volta incontra sguardi spaventati, emarginazione, punizioni che non capisce. I suoi gesti d'aiuto sono travisati, non c'è comprensione. Bella è la descrizione dei mesi trascorsi a osservare una famiglia: qui la Creatura impara a leggere, a parlare, a ragionare. Inizia a riflettere, e questa nuova sapienza lo porta però ad avvertire un maggior senso di tristezza. Si domanda sempre di più chi sia. C'è un forte senso di ricerca di identità di fronte al quale però non sa trovare risposte. Ci appare come un essere che vorrebbe avere e diffondere amore, ma che trova davanti a sé solo odio e disprezzo, e proprio per questo alla fine avvertirà i medesimi sentimenti contro questi uomini che non vogliono neanche cercare di comprenderlo, e soprattutto contro il suo creatore, la causa prima di quel senso di profonda solitudine ed emarginazione.
Se non posso ispirare amore, io causerò paura.
Questa creatura è, quindi, in un certo senso “costretta” a causare paura, a infliggere dolore. Anche se tutto ciò gli fa male. Chiede una cosa sola al suo creatore: la realizzazione di un essere femminile simile a lui, per poter anche lui amare ed essere amato. Per non sentirsi più solo.
Mary Shelley, a mio avviso, ha la capacità di farci sentire intensamente questi sentimenti di incomprensione, questa profonda solitudine provata dal Mostro. Si avverte moltissimo questa paura del diverso, che in quanto tale, deve essere emarginato, punito, marchiato, allontanato, perché in quanto “essere orribile per le sue fattezze fisiche” può causare solo morte e distruzione, senza dargli neanche una possibilità di dimostrarsi in altro modo. A lui non sono quindi riservati né gioia né amore, può conoscere solo odio. E questa cosa, secondo me, è molto attuale. Quante volte si guarda con disprezzo chi è diverso da noi, lontano dalla nostra cultura e dal nostro modo di essere? Ancora una volta siamo di fronte a un classico che non tramonta mai, ma che anzi, può avere correlazioni anche con il presente.
È ovvio che non lo si può apprezzare per i delitti che commette: uccidere o far uccidere persone innocenti non lo rende migliore, però, ecco, allo stesso tempo non riesci a condannarlo del tutto. In un certo senso, provi a comprenderlo - anche se ovviamente non si condividono o possono accettare le sue azioni -.
I miei crimini sono i figli di una solitudine forzata che detesto, e le mie virtù rinasceranno da sole quando vivrò in comunione con un mio pari. Proverò l'affetto di uno essere sensibile e troverò così un legame con quella catena di esistente e di eventi dalla quale ora sono escluso.
Ma il mostro è davvero malvagio? È davvero il cattivo della storia? E se, invece, fosse Frankenstein a essere la parte marcia del romanzo? Lui e il suo desiderio di sfidare la natura o Dio stesso; lui e la sua paura per quanto creato che lo spinge a scappare anziché affrontarla; lui e il suo rifiuto di creare un altro essere simile al Mostro.
Frankenstein e la Creatura appaiono come due facce della stessa medaglia: e, infatti, il finale mostrerà quanto siano profondamente legati.
È una storia bellissima, che mette in luce le paure dell'animo umano. Un classico gotico che va assolutamente recuperato - e io sono felice di averlo fatto, finalmente - e che fa molto riflettere sulle proprie azioni, su quanto molto spesso non riusciamo a comprendere chi è diverso da noi, etichettandolo subito come il male; sui rischi di un'ambizione troppo sfrenata o dell'andare troppo oltre con le scoperte scientifiche. Sfidare la natura può portare a effetti devastanti quando la natura finirà per ribellarsi.
Ho provato brividi? Sì, lo stile della Shelley, le sue descrizioni meravigliose, me li hanno fatti avvertire in diverse situazioni. Effettivamente immaginare una creatura simile che ti appare nel buio, crea spavento, ma se solo ci soffermassimo ad ascoltare le sue parole, sentiremmo un forte senso di pietà e compassione.
Io non so se sia riuscita a esprimere tutto nel migliore dei modi, se ci sia altro da dire, ma mi è piaciuto moltissimo e resterà sicuramente impresso nel mio cuore, ed entra tra i classici più belli che io abbia mai letto.
Devo essere considerato il solo criminale quando tutta l'umanità peccava contro di me?
Questa domanda finale del Mostro credo che racchiuda un po' tutto il senso del libro. È davvero solo lui il criminale a cui addossare tutte le colpe? Io penso di no. Sarebbe bastato un po' di calore, e non ci sarebbe forse stata questa trasformazione in un essere malvagio, capace di portare proprio quella morte e distruzione che si vedeva in lui con troppa superficialità. O magari, non dare vita a qualcosa che non puoi amare.