Kentuki, di Samanta Schweblin - Recensione

18 set 2019

Libri

     

Erano bianche ed essenziali, come le scatole dell’iPhone e dell’iPad di Sven, ma più grandi. Costavano 279 dollari, una cifra considerevole. Non erano belli, eppure avevano qualcosa di sofisticato che non riusciva a mettere a fuoco. animali. C’erano topi, conigli, corvi, panda, draghi e civette. Ma non ce n’erano due uguali, cambiavano i colori e i materiali, alcuni erano customizzabili.

 

Quando ho letto la trama di questo libro ho provato molta curiosità. Kentuki, di Samanta Schweblin pubblicato da Edizioni SUR e in uscita domani 19 settembre, è una sorta di distopico che, come tutti i libri del genere, fa molto riflettere soprattutto su quella che ormai è la nostra realtà e il possibile scenario futuro.

Cosa sono i Kentuki? Sono dei piccoli robot a forma di peluche - topo, coniglio, corvo, panda, drago, civetta... - dotati di una webcam e delle rotelle per potersi muovere liberamente. Sono la novità del secolo, una nuova forma di tecnologia che conquista pian piano tutti in ogni parte del globo (dal Perù alla Germania, dall'Italia alla Norvegia, da Antigua al Messico, e così via). E non importa il prezzo, avere - o essere - un kentuki è la nuova moda, o forse una forma per esorcizzare la solitudine.

All'apparenza sembrano innocui, ma se si pensa che sono collegati in maniera casuale a un altro utente anonimo che potrebbe essere ovunque e di cui non sai nulla, e che può controllare la tua vita, infiltrarsi anche nella tua intimità, be' l'innocenza si perde, e le conseguenze possono essere anche molto gravi, spesso inquietanti.

Come i cellulari, il Kentuki va ricaricato, o rischi di perderlo. Non si può farlo ripartire, così come se l'altro individuo decide di chiudere la connessione. Il peluche-robot si perde per sempre, e tanti saluti anche ai soldi spesi.

Non è corretto, a mio parere, definirlo un “romanzo”, perché non ha una storia unica. È come se fosse una raccolta di racconti, che vengono alternati. Varie storie di vita quotidiana, alcune concluse in un solo capitolo, altre che scorrono fino alla fine. 

 

(c) Una Valigia Ricca di Sogni

   

C'è Emilia, un'anziana signora di Lima che, distante dal figlio con il quale ha ormai poca comunicazione, si ritrova a essere un Kentuki, un coniglietto, e a connettersi con una ragazza in Germania, per la quale inizia a nutrire ben presto una forma di affetto e protezione. Ma non sa che spesso l'apparenza inganna.

C'è Marvin, un ragazzo di Antigua, senza sua madre e in difficili rapporti con suo padre, che sogna di essere un Kentuki drago e di poter toccare la neve, quasi a voler recuperare un sogno, una persona che non è più con sé. Ma non si rende conto che sì, può vedere un mondo lontano da sé, sì, può raggiungere la neve, ma non può toccarla davvero con le sue mani.

     

«Un giorno ti porterò a vedere la neve», gli prometteva sempre sua madre, ancora prima che Marvin sapesse che cos’era. «Quando la toccherai, ti pungerà la punta delle dita», e lo minacciava di fargli il solletico.

   

C'è Enzo, un uomo rimasto solo dopo la separazione dalla moglie, che si deve occupare anche di suo figlio. Acquista un Kentuki topo per quest'ultimo, al quale si rivolge dando del lei, ma che ben presto crea qualche preoccupazione in famiglia. In fondo, perché suo figlio cerca sempre di tenerlo lontano da sé e distruggerlo?

C'è Grigor, un uomo disoccupato, che ha un piano b per aiutare se stesso e suo padre: analizzare i vari kentuki e rimetterli sul mercato, creando quasi dei pacchetti perfetti per chi è alla ricerca di un prodotto ben preciso.

E c'è Alina, forse una delle storie che più mi ha colpito e mi è rimasta impressa. La compagna di un artista, che decide di avere un Kentuki corvo per soffocare un po' quel senso di vuoto, gelosia e noia che prova. Quella umiliante sensazione di non essere nessuno, di non saper che fare della sua vita, se non essere “la compagna di”, e che la spinge anche a compiere dei gesti incomprensibili, quasi a voler attirare attenzione su di sé, ma questo avverrà in modo molto triste.

Queste le storie principali. Esperienze di vita, mondi diversi, accomunati però da un concetto ben preciso: sembra di essere davanti a una bolla di solitudini. Avere o essere un Kentuki diventa quindi un modo per colmare i vuoti lasciati dalle persone che sono lontane o non ci sono più; di provare nuove forme di comunicazione, di risolvere problemi. Ma la realtà è che ci si chiude totalmente in un mondo astratto, cupo e pericoloso, e si dimentica di vivere, di coltivare rapporti veri. 

Quella che appare come una semplice tecnologia innocente, poi, si rivela piena di pericoli: lasceresti entrare uno sconosciuto nella tua intimità? Saresti capace di vivere con un robot che controlla ogni tua attività?

«Non li voglio gli scarti degli altri. E poi io non sono di quelle che vogliono “avere”», disse, pensando agli anfibi della donna del kentuki di suo figlio. «Preferisco essere di quelle che “sono”».

    C'è poi anche il concetto di Avere ed Essere La domanda che sale spontanea alle labbra è: tu vorresti possedere un Kentuki ed essere osservato anche nei tuoi aspetti più intimi, o vorresti essere un Kentuki e muoverti liberamente in una casa di uno sconosciuto e compiere così una sorta di viaggio in un mondo spesso diverso dal tuo, molto lontano da te? Personalmente, in entrambi i casi, io provo molta angoscia. Ed è proprio uno dei sentimenti che si avvertono nella lettura di questo libro. Angoscia, ansia, incredulità. Apre a molte riflessioni sul nostro presente. Viviamo davvero in una realtà in cui siamo da un lato più connessi con il mondo, ma dall'altro sempre più soli, privi di rapporti reali. Ci connettiamo ai social per essere più vicini alle persone, per sentirci meno soli, perché la solitudine spesso fa molta paura, ma in verità tutto risulta sempre freddo, distante. Quasi non ci rendiamo conto che abbiamo una vita - reale! - da portare avanti, da affrontare, da amare. Cerchiamo di vedere mondi distanti da noi, con quel desiderio di scoprirne le bellezze, e a volte questa è l'unica vera possibilità, ma finiamo per ferirci. Siamo sempre più attratti da oggetti tecnologici che dovrebbero aiutarci, ma in verità ci fanno spesso del male. Ecco, se i Kentuki fossero davvero creati, so già che farebbero il boom di vendite, ma allo stesso tempo tremo all'idea. Soprattutto quando leggi di madri che cercano di accontentare i figli, spesso bambini molto piccoli, comprando questi “innocenti peluche” e magari non si rendono conto di metterli in pericolo. Perché tu non sai chi ci sia dall'altra parte. Tu non sai chi stia osservando i tuoi figli. Stai davvero affidando le chiavi di casa a uno sconosciuto, ed è sempre più difficile fare affidamento al buon senso delle persone.    

Non si poteva contare sul buon senso della gente, e avere un kentuki in giro per le stanze era come dare le chiavi di casa a uno sconosciuto.

 

Insomma, è un libro che mi è piaciuto, anche se non mi ha convinta al 100%. Forse perché mi ero immaginata una trama diversa, e non tanti piccoli frammenti di vita. La mia sensazione è che pur essendo una storia validissima, e in qualche modo originale, non abbia dato una profonda attenzione ai personaggi. Rimani con la sete di volerne sapere di più, e invece vieni spesso “bloccata” da altre vicende, da altre storie, anche ripetitive. Tuttavia, è un libro che consiglio, soprattutto agli amanti del genere distopico, a chi ha voglia di riflettere sul nostro presente e probabile futuro, su chi ha voglia di non limitarsi a una semplice lettura ma interrogarsi sui pericoli della tecnologia - se usata in maniera sbagliata -. E anche su quella sensazione di solitudine che pervade ogni pagina di questo libro.  Figli lontani, rapporti difficili con i genitori, mancanze, e anche quella terribile sensazione di non contare nulla, di non essere nessuno, di voler ottenere attenzione su di sé in maniera però sbagliata, di voler apparire in un certo modo agli occhi delle persone che hanno più successo anche se questo comporta compiere gesti umilianti. C'è la realtà. La vita. E spesso a far più paura, a incutere più ansia e angoscia, non sono i mostri di fantasia, ma la realtà stessa. L'umanità stessa. E anche il modo in cui ci si espone sempre di più, limitando la propria privacy, rischiando di mettere in pericolo la propria vita, il proprio io.

Alcuni dicono che possa essere una perfetta puntata di Black Mirror, non avendo ancora visto nulla a riguardo, ma avendo letto qualcosa, sicuramente può essere adatto agli amanti di questa serie.

 

Lei non aveva un progetto, niente che la sostenesse o la proteggesse. Non era sicura di conoscere sé stessa e non sapeva perché stava al mondo. Lei era la compagna. La donna del maestro, come la chiamavano lì, a Vista Hermosa.

  Ringrazio la casa editrice SUR per avermi permesso di leggerlo in anteprima.              
kentuki Kentuki, di Samanta Schweblin Casa Editrice: SUR Pagine: 200 Prezzo: 16,50 euro cartaceo Traduzione di: Maria Nicola Voto: ♥♥♥,5
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